Le interviste di IFDM: Enrico Morteo

Conversazione con l’architetto e co-autore – insieme a Simona Pierini – di Nelle case. Milan Interiors 1928-1978, una maxi-pubblicazione (di oltre 700 pagine) che racconta l’evoluzione del paesaggio domestico in Italia

Enrico Morteo

Cos’è Nelle case. Milan interiors 1928-1978 e da che esigenza nasce?
Nelle Case offre uno sguardo allargato su quella che è stata l’evoluzione della casa e, tra le righe, degli italiani e dell’Italia. Questo percorso avviene durante cinquant’anni importanti come sono quelli che vanno alla fine degli anni Venti, all’omicidio Moro, cioè il 1978. Il progetto nasce – cosa abbastanza rara nel panorama italiano – da una richiesta dell’editore. Hoepli ha una tradizione di libri dedicati a Milano, alla sua cultura e anche all’architettura nello specifico. Questo volume è il seguito di un’altra pubblicazione curata da Simona Pierini [coautrice del libro, ndr], intitolata Case Milanesi. In occasione di una presentazione che avevo organizzato è nata l’idea di un seguito sugli interni, che potesse essere un naturale completamento. Nei cinque anni di preparazione ci siamo resi conto che stavamo costruendo qualcosa che non esisteva ancora. Chiamiamolo regesto, anche se preferisco parlare di panorama all’interno della casa italiana, e nello specifico milanese. Le informazioni ci sono, erano molto frammentate e mancava una ricucitura generale.

Nanda Vigo, Casa Pellegrini – Zero house, 1962 IUAV – Archivio Casali

Come avete rappresentato i progetti?
Ciò che rende difficile il racconto degli interni è la loro eterogeneità. Le case sono complicate dagli abitanti, con le loro fantasie, paure, collezioni, desideri. Simona Pierini è stata brava a indentificare prontamente la planimetria come un elemento costante che consentisse il confronto tra tutte le residenze analizzate. Queste sono state tutte ridisegnate da un gruppo di studenti e ricercatori del Politecnico di Milano. Le piante ci consentono di condensare tutta una serie di informazioni diverse, non sempre omogenee. Le planimetrie sono tutte a scala 1:200.
Attraverso le immagini d’archivio proviamo invece a camminare metaforicamente dentro le case, per cercare di esaltarne le caratteristiche essenziali. Ovviamente dal 1928 al 1978 il modo di fotografare e interpretare lo spazio della casa è cambiato molto. Il sistema a schede, l’uso sistematico della pianta e l’ordinazione cronologica dei progetti ci permette di essere chiari e ordinati. Con i testi proviamo invece a identificare degli aspetti particolari, dei temi ricorrenti, questioni condivise da alcuni progetti, modi di abitare. Cerchiamo di definire le urgenze a cui i progetti volevano dare risposta.

Ettore Sottsass, Casa Sottsass Pivano, 1957 IUAV – Archivio Casali

Si può individuare un carattere peculiare (o meglio, un approccio o una postura comune) che accomuna i vari progetti?
L’unicità delle case italiane deriva dalla non perfetta adesione della cultura italiana – progettuale, ma non solo – ai dogmi che avevano spinto il resto dei paesi europei – l’Inghilterra, la Germania e la Francia su tutti – a una modernità più razionalista, più dura, più funzionale. In Italia si sono sempre cercati degli elementi che potessero diventare generatori di un rinnovamento e dunque di una nuova modernità. Gio Ponti lo dice chiaramente nell’editoriale del primo numero di Domus, nel 1928:
“La casa italiana non è il rifugio, imbottito e guarnito, degli abitatori contro le durezze del clima (…) Il suo disegno non discende dalle sole esigenze materiali del vivere, essa non è soltanto una ‘machine à habiter’. Il suo ‘comfort’ è un qualcosa di superiore, esso è nel darci con l’architettura una misura per i nostri stessi pensieri … nel che consiste nel pieno senso della bella parola italiana, il CONFORTO.”

Ho apprezzato molto l’attenzione che avete dedicato alle didascalie.
Cerchiamo di usare la didascalia come un complemento. Questo vuol dire che puoi leggere il libro in molti modi: in teoria si possono leggere i saggi introduttivi senza guardare i progetti, dato che sono testi su temi generali. Questi cercano di cucire insieme alcuni progetti per formare una piccola storia. Oppure si possono guardare solo le figure e leggere le didascalie: già lì trovi qualcosa. Io credo che un libro come il nostro debba essere il più aperto possibile, il più generoso possibile con il lettore, non costringerlo a un a un tour de force, ma invece a permettere la massima libertà di fruizione.

Giorgio Host Ivessich, Casa blu, 1966 Domus
Carla Venosta, Casa Venosta, 1971 Domus

Come mai il libro si ferma poco prima degli anni Ottanta?
La modernità è stato un tempo di novità permanenti, in cui troviamo una costante richiesta di nuovi modi di produrre, di vivere, di stare al mondo, di fare la casa, la città. Il design italiano in quegli anni ha compiuto un grande sforzo per addomesticare e portar dentro una nuova dimensione culturale tutta questa produzione di novità. A un certo punto questa di accelerazione si è un po’ fermata. Ci siamo trovati con un bagaglio ricchissimo di forme e modelli nuovi sperimentali. Abbiamo quindi iniziato a riprenderli, a metterli a posto, a levigarli, a renderli più educati, meno strani, ma anche meno sperimentali e innovativi.

Vedremo mai una “parte 2” della pubblicazione? Magari tra qualche anno si può ripercorrere il periodo che va dal 1978 al 2028.
Il periodo da noi analizzato era precedeva la mia attività professionale. Nel 1978 ero iscritto all’università. Un libro sui cinquant’anni successivi mi piacerebbe lo facesse una persona che sta studiando adesso, e che tra un paio di decenni voglia fare l’esercizio di guardare indietro con sguardo critico. Non con l’occhio di chi li ha vissuti ma di chi ne è figlio, li ha introiettati senza però farne veramente parte. La storia ha bisogno di un minimo di distanza.

Ignazio Gardella, Casa Gardella ai Giardini d’Ercole, 1954 IUAV – Archivio Casali