Partiamo dalle origini, dall’università. Cosa porta ancora con sé del periodo di studi presso il Politecnico di Milano?
Il tempo che ho trascorso a Milano ha formato quella che considero la comprensione dei fondamentali del design. Mi ha insegnato l’importanza dei dettagli, quelli che catturano, che formano l’essenza e l’energia di un prodotto, non importa quale sia. Ho lavorato con alcuni dei pionieri del design italiano contemporaneo e ho imparato a vedere il design come risposta a una domanda. Per molti aspetti, mi sento ancora molto italiano in quello che faccio.

Poi viene in America, perché questa decisione?
Nonostante fosse fondamentale per la mia formazione, l’Italia tra la fine degli anni ’60 e degli anni ’70 attraversava un momento difficile e quando mi si è presentata l’occasione di lavorare a New York non ho avuto esitazioni e sono partito. L’America era sempre stata un mio sogno. Come ogni ragazzo israeliano, sono cresciuto con Alfred Neuman e Hugh Hefner, MAD Magazine e Playboy erano le mie icone. Volevo andare dove – come si suol dire – le strade erano ricoperte d’oro.

Il mondo del contract e l’ospitalità soprattutto, sembrano viaggiare a una velocità superiore a quella del design: come è cambiato nel corso degli anni?
La modifica più significativa è negli strumenti del nostro mondo. Quello che una volta dipendeva dalla scala e dalle proporzioni, dalle regole del bordo diritto, dalle bussole e da una matita ora sono gestite da Google e Pinterest. Tutto è facilmente copiabile e incollabile e questo ha gravemente influenzato l’originalità del processo creativo. Ora ‘ispirazione’ è un’immagine di Internet prima che sia un’esperienza.

Il suo curriculum dice che ha una passione per la progettazione dei ristoranti…
Quando sono arrivato a New York, le persone mi chiedevano: “Cosa sai progettare?” Volevano sapere se ero un architetto, un designer di prodotti, un designer grafico o di moda. In America, dovevi avere una specialità per essere considerata un esperto, ma ho cercato comunque di essere un progettista a 360°, su molti campi di applicazione della professione, così mi era stato insegnato a Milano. Dopo i primi anni non proprio facili, mi è stato chiesto di disegnare la versione americana del leggendario caffé parigino La Coupole, che sarebbe poi diventato il primo grande caffè a New York. I proprietari erano molto fiduciosi e mi hanno permesso di progettare non solo gli interni, ma anche le uniformi, la grafica, praticamente tutto. Dopo che il ristorante aprì le recensioni furono molto positive e io feci realizzare una targa che recitava così: Adam D. Tihany – Designer di Ristoranti e lo appesi fuori dalla porta dello studio. Avevo trovato una specializzazione che mi aveva permesso di poter esercitare la professione che amavo fare.

Come è cambiato nel corso degli anni, il tuo approccio ai grandi progetti, per citarne uno recentemente, l’ultimo di Dubai Four Seasons o il Mandarin a Las Vegas? Perché le proprietà ti hanno scelto?
Forse perché mi sono sempre avvicinato al design – fosse un posacenere o una nave da crociera – come soluzione di un problema. Più impegnativo è, meglio è. Mi sveglio la mattina e mi eccitano le sfide ed è quello il momento in cui inizia la mia creatività.

Ristoranti, hotel e ora anche le navi, è un mondo separato? Sergio Buttiglieri, interior design director di Sanlorenzo, afferma che l’onda lunga del design sta arrivando anche sulle grandi navi. Cosa ne pensa?
Sono d’accordo. La crociera è un’industria dell’ospitalità. Il successo di qualsiasi nave da crociera si basa su un solo aspetto: l’esperienza del cliente. Una nave può avere il cibo più incredibile e il servizio migliore, ma se un ospite non si sente a proprio agio, si perderà un po’ di energia e l’esperienza non sarà più indimenticabile. Quando si progetta una nave da crociera – che è una grande sfida resa ancor più complicata dal fatto che si muove – occorre pensare che si sta progettando uno spazio per un pubblico che sarà in pratica prigioniero di quello spazio: la maggior parte degli ospiti rimane a bordo della nave per settimane o anche mesi e quindi il design deve avere un tratto che sia adeguato a diversi tipi di viaggiatori. Alla fine è il design che determina il livello di esperienza della crociera. Nel caso della Seabourn Encore, per esempio, la ricchezza di linee curve e di dettagli ispirati al mondo degli yacht sono diventati così inglobati nell’identità della nave che è quasi impossibile parlare di Encore senza menzionare il design.

Quali progetti stai lavorando, sia come progettista che come interni?
Sono stato nominato Direttore Creativo per Costa Crociere per supervisionare il rebranding della società. Lavorerò con un team di designer e architetti da me scelti per realizzare la concept della prossima generazione di navi Costa e il tema sarà “Italy’s Finest. Nel mondo del design di prodotto ho diversi progetti in fase di lancio.