La scorsa settimana a Parigi si è tenuta la seconda edizione di Paris+ par Art Basel, capitolo francese della più importante fiera del settore al mondo. 38mila presenze, pezzi importantissimi (come la tela di Mark Rothko da Pace Gallery, offerta a 40 milioni di dollari), pubblico di curatori di musei e grandi collezionisti.
Negli stessi giorni c’è stato anche un debutto molto atteso, quello di Design Miami/ Paris. Un esordio memorabile, soprattutto per la sede scelta: l’hôtel de Maisons, in passato abitazione di Karl Lagerfeld, un palazzo (con giardino, dove era stata collocata una Maison démontable di Jean Prouvé – noblesse oblige) pieno di marmi, stucchi e dorature nel cuore di Saint-Germain. Ed esporre arredi e oggetti in una casa, al posto che in uno stand, ha davvero fatto la differenza.
Attorno a questi due poli si sono aggregate alcune manifestazioni-satellite. Sia sul fronte dell’arte (Paris Internationale, Offscreen) che su quello del design da collezione (Thema, Contributions). Due mondi che hanno molti punti in contatto, a cominciare da un’ampia fascia di pubblico.
È lo stesso pensiero che sta dietro la collaborazione tra l’azienda tessile Kvadrat e l’artista Danh Vo, un progetto di grande poesia che ripensa il concetto di “limited edition” e unisce in modo originale arte e interior design; ma anche il coinvolgimento, appena annunciato, di Nathalie Du Pasquier – formidabile esempio di artista/designer – nella prossima edizione dell’evento Litta Variations in calendario per la Milano Design Week 2024.
Trovo che non sia una buona idea tracciare linee di confine troppo rigide. La creatività non si muove con queste logiche, e gli sconfinamenti spesso portano a scoprire cose nuove e importanti. Creano connessioni, aggiungono profondità. Come una finestra in una stanza. Riconoscere che arte e design possono parlare una lingua – del resto lavorano entrambi sullo spazio che abitiamo – li rende più forti e più significativi. Più capaci di raccontare il nostro tempo.