La scorsa settimana si è tenuta la conferenza stampa milanese del Salone del Mobile. Non era la prima né l’ultima di questa stagione, con un tour mondiale che testimonia un impegno di comunicazione importante. Come importanti sono le sfide che la manifestazione è chiamata ad affrontare. Sono state due ore piene di idee.
Il Salone sta vivendo un momento di evoluzione, importante e delicato. La scelta di concentrare tutta l’offerta espositiva sul piano terra dei padiglioni di Rho-Pero è sicuramente dettata dalla volontà di razionalizzare i percorsi ma anche da un effettiva diminuzione delle aziende partecipanti: nel 2019 erano 2.400, in conferenza ne sono stati annunciati circa 1.900.
A questa congiuntura il Salone risponde proseguendo e ampliando il ripensamento profondo dei padiglioni avviato l’anno scorso. Inserendo nuovi contenuti, per esempio, per stimolare sempre di più il visitatore attraverso quella che Juri Franzosi dello studio Lombardini 22 (responsabile del progetto di ridisegno) definisce “sorprendenza”. Oppure affidandosi a strumenti nuovi come le neuroscienze, che forniscono un punto di vista inedito su come i visitatori si relazionano con la manifestazione.
Ma non c’è solo questo. La Presidente, Maria Porro, ha parlato del Salone come di un ecosistema, che come tale ha la capacità di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente che lo ospita – e non è solo una questione di ecologia, anche se la fiera a settembre ha ottenuto la certificazione ISO 10121 per il sistema di gestione della sostenibilità degli eventi. “Ecosistema” vuol dire un insieme di relazioni, di interdipendenze. Una forma di intelligenza collettiva. È come io vedo il design: qualcosa che cambia, si evolve, non sempre in modo prevedibile. Il dibattito generale che oggi mette in discussione le fiere tradizionali fa parte di questo. La risposta più interessante è nel cambiamento. E il Salone non sembra a corto di idee.