L’inesauribile energia della curiosità

Conversazione con Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino, architetti “anti-discplinari” il cui credo progettuale transita con disinvoltura dalla Storia all’intelligenza artificiale

Tiziano Vudafieri & Claudio Saverino - Photo © Graziella Vigo
Tiziano Vudafieri & Claudio Saverino - Photo © Graziella Vigo

Dietro alle prime apparenze Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino rivelano un loro mondo controcorrente rispetto alle policy comuni, un credo progettuale che transita con disinvoltura dalla storia all’intelligenza artificiale, un’attitudine alla composizione che tocca tutte le materie possibili e una dolce gelosia del proprio pensiero che risulta contagiosa. 

È la curiosità che ha armoniosamente composto questo puzzle anticonformista perché la curiosità, come affermò Vladimir Nobakov – “è insubordinazione nella sua forma più pura”. Incontrare la realtà Vudafieri e Saverino è come scontrarsi con una macchina infernale alimentata da decine di discipline, un susseguirsi arrembante di cambi di scena tra musica, arte, letteratura, fotografia e storia, recupero del passato e proiezione sul futuro, dove l’architettura è un pregiato anello finale. Una coppia di professionisti che si sono trovati senza essersi cercati, la dimostrazione che “l’altra metà della mela” è storia e non solo mitologia. La conversazione con Tiziano Vudafieri (e virtualmente con Claudio Saverino che ci ha fatto avere precisi pensieri scritti) corre molto veloce, infiammata dalle passioni e dai racconti e ricca di divagazioni che risultano essere essenziali per il pensiero finale.

Casa Al Mare, Versilia, Italy - Photo © Paolo Valentini
Casa Al Mare, Versilia, Italy – Photo © Paolo Valentini

Tiziano Vudafieri: hai avuto “maestri” importanti, da Aldo Rossi a Ettore Sottsass, quale eredità porti con te?
Con Aldo Rossi, uno dei grandi maestri dell’architettura del XX secolo, ho fatto la tesi alla facoltà di Architettura di Venezia. Era in qualche modo molto aderente al suo pensiero, ma non in senso iconografico e questo aspetto fu particolarmente apprezzato. Dopo pochi mesi dalla laurea, arrivò l’esperienza con Sottsass: arrivavo da un paesino del Veneto e nel 1985 sono atterrato a Milano. L’impatto con Sottsass è stato choccante, all’inizio non capivo, era fuori da ogni codice estetico con cui ero abituato a ragionare, l’avevo anche studiato all’università, poi finalmente il tutto si è rivelato come La Grande Bellezza, ma ci ho impiegato dei mesi per entrare in sintonia e comprendere il suo cosa e il suo come. Negli oltre 4 anni trascorsi da Sottsass ho cercato di andare all’essenza del pensiero di chi nella seconda metà del 1900 (la prima metà è di Giò Ponti) è stato colui che ha scompigliato le carte. Se devo sintetizzare al massimo dico che da Aldo Rossi e da Ettore Sottsass ho ereditato una grande e inesauribile curiosità.

Rosa Alpina Penthouse, San Cassiano, Italy - Photo © Alex Filz
Rosa Alpina Penthouse, San Cassiano, Italy – Photo © Alex Filz

Esiste un quid che accomuna Tiziano e Claudio?
Claudio e io siamo molto anti disciplinari, non siamo interessati solo all’architettura e al design: ci attira molto l’arte perché è quell’ambito in grado di mettere in discussione la nostra idea di bellezza. Io, per esempio, sono affascinato da John Armleder, artista svizzero che combina pezzi antichi con oggetti moderni in declinazioni anche stravaganti. Questo suo eclettismo può non essere subito attraente, ma compreso il concetto diventa irresistibile. Le sue sono opere che ti educano a guardare con occhi diversi e soprattutto a creare campi di osservazione e di pensiero praticamente illimitati. Una sedia è una sedia, ma se è fatta da un’artista la sua funzione primaria decade e quella sedia non è più arte applicata ma arte pura e allora la devi guardare con un approccio differente. Ecco questo “guardare con occhi diversi”, è un processo che può modificare i tuoi parametri sulla bellezza. Se l’arte dà fastidio è una bella reazione, se ti “spacca la faccia” ancora meglio perché mette alla prova. L’arte è fine a sé stessa ed è in continuo movimento, la bellezza – quindi – anche. 

Urban Hive Milano, Milan - Photo © Paolo Valentini
Urban Hive Milano, Milan – Photo © Paolo Valentini

Il Delvaux di Parigi, pur fatte le dovute proporzioni, è un esempio di trasformazione di un oggetto in un elemento artistico?
Certamente, Delvaux racconta una storia (è la marca di pelletteria più antica al mondo, 25 anni prima di Louis Vuitton) e un savoir faire senza confronti, la qualità dei materiali e delle lavorazioni: Per la boutique in Rue Saint Honoré abbiamo acquistato da un commerciante di Cuneo delle porte francesi della Savoia, le abbiamo appese al muro, davanti ci sono delle leggere e minimaliste mensole di vetro su cui vengono esposte le borse: il contrasto funziona benissimo.

Vudafieri e Saverino: due percorsi di studi e professionali molto differenti, nel 2000 fondate l’attuale studio. Quale fu la scintilla che fece accendere il motore?
Claudio era venuto a lavorare in studio con me, eravamo in 6 all’epoca, ho capito subito che lui aveva quello che mi mancava, siamo uguali e contrari, ma perfettamente complementari, grande rispetto reciproco, tanto ascolto.

Delveaux, Bruxelles - Photo © Santi Caleca
Delveaux, Bruxelles – Photo © Santi Caleca

Leggendo il curriculum sia scolastico che professionale di Claudio Saverino pare che tutto volesse tranne che fare l’architetto.
E’ proprio così e invece è molto più architetto di me, io mi reputo l’unico designer dello studio. Claudio proviene dalla grafica e dalla comunicazione che sono stati – oltre che passioni – anche oggetto professionale per molti anni. Poi ha deciso di cambiare e ha scelto di laurearsi in architettura al Politecnico di Milano sotto la direzione di Achille Castiglioni con una tesi sull’antica città di Sousse in Tunisia, dove si interessa anche alle origini greche, romane e arabe della casa mediterranea. Il gusto per l’esplorazione e la scoperta lo contraddistingue anche adesso.

Delvaux, Tokyo - Photo © courtesy of Garde
Delvaux, Tokyo – Photo © courtesy of Garde

Un Delvaux tira l’altro, uno diverso dall’altro: la diversità è un’opportunità per il progettista?
Assolutamente ed è per noi un complimento. Delvaux ci corrisponde tantissimo, la linea di intesa e il feeling scattati con Jean Marc Loubier (CEO) sono stati e sono speciali. Per ogni Delvaux raccogliamo e interpretiamo la personalità del luogo mixata ai valori dell’azienda: a Tokyo abbiamo scelto delle applique di Frank Lloyd Wright utilizzate per il (mai dimenticato) Hotel Imperial, le abbiamo unite per formare un grande lampadario, a Parigi abbiamo inserito porte savoiarde originali, a Roma abbiamo solarizzato il Piranesi (forse non a caso uno dei primi teorici italiani dell’architettura) avvicinandolo a Andy Warhol, a Milano abbiamo trasformato un armadio di Portaluppi che era a Villa Necchi e lo abbiamo fatto diventare alla Delvaux. Lo story telling è essenziale e in questo Jean Marc Loubier, grande appassionato di design, è un motore mai spento.

Dove vi sentite forti?
Ci sentiamo forti quando c’è una storia nuova da raccontare e quando possiamo confrontarci in modo aperto con il cliente: come diceva il filosofo Eraclito “dal contrasto nasce l’armonia”. Abbiamo bisogno di confronti, critiche, anche aggressive se questo serve a tirare fuori l’anima dell’investitore: così la macchina si mette subito in moto e al massimo dei giri.

Versace Home - Photo © courtesy of Versace
Versace Home – Photo © courtesy of Versace

Versace Milano: pensate di essere riusciti a “sversacizzare” Versace?
La missione era proprio quella, il brief di Cassina chiedeva di rendere Versace meno Versace, abbassando l’impatto dei codici che hanno contraddistinto l’azienda per anni (la medusa, l’oro, etc). Nel flagship milanese i simboli e le forme che contraddistinguono il brand sono stati rivisitati attraverso elementi dal sapore industriale, dando vita a un ambiente dal carattere eclettico, in un dialogo tra architettura classica dell’edificio e innesti contemporanei.

Ristorante Berton, Milan - Photo © Santi Caleca
Ristorante Berton, Milan – Photo © Santi Caleca

Nel 2012, ben prima che tanti altri studi internazionali decidessero di fare altrettanto, avete aperto uno studio in Cina.
Il tutto è iniziato prima del 2012: incuriositi dal fermento della nuova Shanghai, realizziamo, per un cliente visionario, la sede della Wall Street English all’interno della Jin Mao Tower di Pudong, al tempo il più alto edificio al mondo. Nel contempo lavoravamo nel settore fashion. In quel periodo era complicato avere a che fare con la moda, la Cina era molto diversa, non era ancora esplosa la passione per le griffe internazionali, abbiamo aiutato i marchi ad aprire i negozi. Noi non avevamo una società ma un local architect con cui lavoravamo. Nel 2012 abbiamo deciso di costituire la società a Shanghai, abbiamo avuto la fortuna di avere qui a Milano un architetto desideroso di fare un’esperienza in Cina, ha accettato l’incarico e ha scoperto che quello era il posto per lui.

Dry Milano, Milan - Photo © Nathalie Krag
Dry Milano, Milan – Photo © Nathalie Krag

Come è cambiata la Cina negli ultimi 11 anni?
Quando abbiamo iniziato a lavorare in Cina, gli architetti e designer italiani, e più in generale europei, erano pochi, il Paese iniziava proprio in quegli anni ad aprire le porte al mondo. Oggi, in modo particolare a Shanghai, la concorrenza e la qualità dei progetti è uguale se non superiore a Milano, Londra o New York, per cui anche il cliente è più evoluto ed esigente. Sicuramente hanno un modo di parlare dei progetti molto diverso dal nostro: noi occidentali siamo abituati a lavorare per obiettivi e per direzioni lineari, i cinesi invece non procedono per linea retta e il percorso è spesso un meandro: spostano quello che tu vedi come obiettivo primario e anticipano argomenti che tu trovi in quel momento fuori tempo. Eppure raggiungono la meta, spesso prima e meglio di noi. Alla fine abbiamo imparato la flessibilità del percorso con i cinesi e questo ci permette di arrivare vicini all’obiettivo anche quando arriva un improvviso cambio di direzione.

Falkensteiner Hotel Montafon, Tschagguns, Austria - Photo © Santi Caleca
Falkensteiner Hotel Montafon, Tschagguns, Austria – Photo © Santi Caleca

Un sogno nel cassetto?
Siamo molto interessati nello studio sull’intelligenza artificiale, abbiamo costituito un gruppo interno soprattutto orientato alle opportunità collegate alla produzione di immagini. Stiamo studiando Midjourney, un programma che produce immagini per approssimazioni successive e – soprattutto – se capisci il lessico e sai fare le domande corrette (e qui serve una cultura umanistica) porta risultati evidenti: produce in due ore quello che prima richiedeva da due giorni a una settimana. Per ora ci stiamo esercitando, ma il gruppo corre veloce.