Tre pezzi unici, tra design e scultura

Ron Arad racconta come si è sviluppato il progetto If I were a Carpenter, micro-collezione speciale realizzata insieme ad Alpi. E ritratta negli scatti pop e surreali di Pierpaolo Ferrari

Ron Arad – Photo © Asa Bruno
Ron Arad – Photo © Asa Bruno

Spesso, specie nel design, è lo scarto rispetto alla regola che permette di vedere le cose in una nuova prospettiva. E di creare qualcosa di nuovo. In questa linea si muove un’operazione che Alpi, azienda che produce superfici decorative in legno composto, porta avanti dal 2017.

Nel primo episodio, Re-Connection, Martino Gamper ha (re)intepretato i legni di Ettore Sottsass. L’anno successivo l’invitato è stato Alessandro Mendini (Tre Primitivi) e quello successivo Piero Lissoni (La tavola degli elementi). In queste collaborazioni i designer, attraverso progetti “fuori serie”, danno forma ai materiali prodotti dall’azienda, in totale libertà. Un progetto di ricerca pura.

If I were a Carpenter, “Oh Void” – photo © Pierpaolo Ferrari
If I were a Carpenter, “Oh Void” – photo © Pierpaolo Ferrari

Il protagonista della collaborazione più recente è Ron Arad, progettista che fino dagli esordi della sua lunga carriera si è mosso in un ambito che spesso ha logiche artistiche più che industriali: pezzi unici a metà strada tra design e scultura, complesse lavorazioni manuali. Il risultato sono tre “scomposizioni” di altrettante sue celebri sedute curvilinee, i cui volumi morbidi sono stati trasformati in una serie di piani che si intersecano. E che sono poi state ritratte da Pierpaolo Ferrari nei colori ipersaturi che sono il suo marchio di fabbrica.

Allestimento della mostra “In Reverse“ alla Pinacoteca Agnelli, Torino, 2013/2014 – Photo courtesy Ron Arad and Associates Ltd.

«Il mio lavoro è molto spesso associato al metallo e raramente al legno, anche proprio col legno ho fatto di recente un progetto che mi è molto piaciuto. Per qui quando Vittorio (Alpi, titolare dell’azienda, ndr) mi ha chiamato mi è sembrata subito una cosa interessante da fare», spiega Arad dalla sua casa-con-studio a Londra. «E quando mi ha chiesto di dare un titolo al progetto ho subito pensato a If I were a Carpenter, canzone che il musicista Tim Hardin suonò nel 1969 al Festival di Woodstock: a lui è piaciuto subito. Poi si è accorto che i giovani non capiscono il riferimento, ma pazienza».

Blame the Tools – Photo courtesy Ron Arad Associates
Blame the Tools – Photo courtesy Ron Arad and Associates Ltd.

Quanto ci è voluto per sviluppare il progetto?
Molti miei progetti hanno delle armature che li sostengono. Come per esempio le Fiat 500 che ho realizzato per la mostra In Reverse al Lingotto a Torino. Perché le copro? Sono così belle… Quindi ho iniziato a giocare un po’ con l’acciaio Corten e ne ho realizzate una serie, che ho chiamato Blame the Tools (Date la colpa agli attrezzi, ndr). Ho pensato che sarebbe stato bello farle anche in legno, con colori diversi in modo da cambiare a secondo del punto di vista. Con questo procedimento sono stati fatti tre pezzi unici, versioni di Big Easy, Oh Void, Southern Hemisphere. E ho voluto che fosse bella anche la sezione delle tavole utilizzate, per poter valorizzare il taglio. Abbiamo fatto via telefono o Zoom – è stato abbastanza sorprendente realizzare un progetto così complesso in questo modo.

La seduta “Big Easy” nella versione in resina – Photo courtesy Opera Gallery

Qual è stato l’aspetto più interessante o divertente di questo lavoro?
Tutti i campioni di legno che mi hanno mandato a casa. È utile avere i materiali sotto gli occhi, spesso apre le porte a nuovi progetti. È così che sono nate nel tempo le varie versioni della mia poltrona Big Easy (Moroso): è stata in polietilene, acciaio, in fili metallici intrecciati da artigiani di Dakar, in Senegal; adesso un laboratorio di Madrid me la fa in resina.

If I were a Carpenter (showroom Alpi, Milano), “Southern Hemisphere” – Photo © Thomas Pagani
If I were a Carpenter (showroom Alpi, Milano), “Big Easy” – Photo © Thomas Pagani

Con quali criteri hai scelto le tre sedute di questo progetto?
Il primo oggetto della serie BTT è stata la Solid Rocker: è stata fatta l’armatura interna, e quando in officina hanno iniziato a ricoprirla ho detto “Non fatelo, va molto bene anche così”. Dovevano essere pezzi con un volume evidente. È stata una scelta facile.

If I were a Carpenter, “Oh Void” – Photo © Pierpaolo Ferrari
If I were a Carpenter, “Oh Void” – Photo © Pierpaolo Ferrari
If I were a Carpenter, “Big Easy” – Photo © Pierpaolo Ferrari
If I were a Carpenter, “Big Easy” – Photo© Pierpaolo Ferrari

La scelta di Pierpaolo Ferrari per fotografare i pezzi di If I were a Carpenter è una sua idea?
No, non c’entro niente. È stata una scelta di Alpi. Una scelta che trovo felice perché mi permette di vedere il mio lavoro in modo nuovo. E va benissimo: io mi limito a disegnare i pezzi. Una volta realizzati non sono più “miei”. Vedere una persona nuda sopra questi oggetti, per esempio, mi fa pensare se ci sarà stata bene o scomoda. Quando realizzi una seduta è sempre interessante vedere qualcuno che ci si siede sopra: nel progetto Dubito Ergo Cogito ho ripreso la base del Pensatore di Rodin ma ho tolto il personaggio. Ho pensato che poteva anche prendersi una vacanza. Il pezzo è stato installato a Regent’s Park durante la settimana di Frieze: è stato incredibile vedere quanto persone ci si sono fatte fotografare sopra.

Disegno preparatorio per The Quartet – courtesy Ron Arad and Associates Ltd.

Prima ha parlato di un altro progetto realizzato col legno: ce lo può raccontare?
Ho creato The Quartet, un quartetto d’archi che suona senza gli strumentisti ed è stato esposto alla Gordon Gallery di Tel Aviv. Ogni strumento ha al suo interno un attuatore che lo fa vibrare: ne sono state fatte varie versione e hanno tutte un suono magnifico. Mio fratello Atar Arad, che è un violista, ha composto un quartetto per l’occasione. Ho mantenuto solo la struttura, eliminando le corde. Ho giocato con la forma: uno è un omaggio allo scultore Arman, un altro è dipinto in un nero talmente nero (e contenuto in una cornice dello stesso non-colore) che si sente ma non si vede. Alcuni hanno delle scritte incise nel corpo, come le classiche feritoie degli archi. E sono tutti realizzati da un liutaio eccezionale, Stefan-Peter Greiner.