«Il Medio Oriente? Una grande opportunità»

Bendis Ronchetti Illulian ci racconta come l’azienda di famiglia, brand dal cuore italiano che da più di 60 anni crea tappeti di qualità, stia vivendo un momento di grande interesse in Qatar e in tutta l’area. Grazie anche a un post su Instagram…

Illulian, Doha Exhibition

A dicembre scorso avete organizzato un grande evento a Doha, in Qatar, e questo vi ha aperto molte porte. Com’è andata?
È nato tutto da un nostro tappeto che lo sceicco Abdulaziz Al-Thani, giovane e amante del design, ha visto su Instagram. Ci ha scritto – parliamo di novembre 2023 – chiedendoci se potevamo inviargli delle nostre creazioni per un evento che aveva intenzione di curare: gli è piaciuto il nostro modo di esprimere contenuti radicalmente nuovi mantenendo intatto il legame con la tradizione artigianale. La sua famiglia è importante: suo zio è il re del Paese, sua zia Mozah bint Nasser al-Missned è la persona che ha voluto il Design District di Doha, dove sono presenti gli showroom dei marchi più importanti e con un museo, M7, che è stato capace di coinvolgere personaggi come Rossana Orlandi. Lo sceicco ha fatto la sua scelta e noi abbiamo spedito i pezzi, senza contratti né altro. Sulla reciproca fiducia. L’evento è durato tre giorni: il primo solo per i reali, i principi e tutta la famiglia; il secondo per architetti e addetti ai lavori e l’ultimo giorno – sempre su invito – per un pubblico più ampio. Abbiamo esposto in un club members only con un allestimento studiato insieme a Studio Fosc (spagnoli ma con uffici anche a Doha), con un negozio di fiori che ha studiato per ogni installazione una composizione ad hoc.

Risultati?
Tutto è andato benissimo. Alla fine non volevo andare via senza avere uno spazio fisso dove poter esporre il mio prodotto. E Al-Thani mi ha detto “scegli tu dove vuoi essere”. Nei giorni precedenti mi ero guardato un po’ in giro e ho scelto un multibrand importante, Al Mana Maples, dove ho lasciato tre pezzi in esposizione, uno di Zaha Hadid e due di Paula Cademartori. Poi da lì sono partito per Miami (16 ore di volo!), dove in occasione di Art Basel organizzavamo un evento insieme all’Istituto Marangoni di Miami: un contest in cui abbiamo chiesto a quaranta studenti di disegnare un tappeto, vinto da una ragazza colombiana a cui è andata una scholarship di 10mila dollari. Una versione più grande di questo tappeto, Paraiso, l’abbiamo presentata al Salone. Nel frattempo con Al-Thani si aprivano altri canali di collaborazione.

Ce ne puoi parlare?
Per il gioielliere David Webb, storica casa newyorkese oggi controllata dalla famiglia Al-Thani, stiamo creando un tappeto che reinterpreta un loro pezzo iconico. Poi, sempre tramite il giovane sceicco, stiamo facendo progetti per barche, legate alla loro cultura ma dagli interni moderni. E poi c’è in cantiere un progetto per i grandi magazzini Printemps, a Parigi (sempre di loro proprietà). Siamo sorpresi dalle aperture che questa persona riesce a darci. Abbiamo deciso di investire in questi progetti: quello per David Webb, per esempio, per noi è una forma molto interessante di pubblicità. E loro credono in noi. Poi possono nascere altre situazioni. Per esempio, adesso ci hanno chiesto un tappeto, uno solo, per un hotel che ha settanta camere: sta a me decidere se credere in un progetto del genere e fare un prezzo contract. Bisogna saper vedere il potenziale.

Cosa rende speciale quest’area?
Il fatto che i suoi abitanti oggi viaggiano di più, vedono che tantissimi stranieri entrano nel loro Paese: hanno curiosità, cominciano a staccarsi un po’ dal tradizionale. C’è molta richiesta di talenti e per questo molti progettisti si stanno organizzando per poter lavorare qui. È una clientela che vuole il designed & made in Italy, ma anche la massima customizzazione. Una cosa interessante è che in molti progetti c’è una stanza che mantengono molto formale e vicina alla tradizione, il majlis (ambiente adibito all’incontro). Siamo andati a Casablanca – che non è vicina geograficamente, ma culturalmente sì – e in una casa super moderna abbiamo visto una stanza con tavolini tappeti pouf etc, tutto nel loro stile. Anche in Arabia Saudita è così, molto spesso al piano terra si trovano pezzi antichi e il resto della casa è contemporaneo.

Potrà esserci una scena creativa locale?
Sicuro. Ci stanno arrivando tante richieste da designer di questa regione. Come Mattar bin Lahej, famosissimo, quello che ha disegnato la parte esterna del Museum of the Future di Dubai: con noi ha fatto un tappeto che si chiama Love, “habun” in arabo (l’unica parola che conosco in questa lingua). Viaggiamo molto: è bello e divertente andare a trovare qualcuno che ha qualcosa di diverso da dire.

Avete piani per il futuro su quest’area?
Sì. Dovremmo esporre i nostri tappeti con un un nostro corner in una galleria a Riyadh, abbiamo mandato un architetto per studiare gli spazi. Sarà un contesto molto importante, anche a livello di dimensioni. Questa sarà una cosa diretta, gestita da noi e non da rivenditori: abbiamo una belle rete in zona, con corner in vari store: due a Dubai (ne sta arrivando un terzo), due in Oman, due anche in Giordania nonostante sia un Paese piccolissimo; stiamo per concludere anche a Beirut. Ma operare in prima persona sarà una bella sfida.