Racconti luminosi

Incontro con Davide Groppi, inventore – come ama definirsi – che progetta e produce lampade come se fossero racconti. Cercando l’emozione

Davide Groppi

La figura di progettista/imprenditore, come tu sei, ha precedenti illustri nella storia del design italiano. Come è nata la tua azienda?
Avevo 22 anni, avevo appena smesso di studiare. Anche se avevo la passione per la matematica ho iniziato a fare il disegnatore meccanico: ho aperto la mia ditta e in parallelo creavo lampade. Poi nell’88 mi sono concentrato sulla luce.

Da cosa è nato questo interesse così preciso?
Dalla mia parte più sensibile e artistica, dal desiderio – che ho ancora adesso – di tirare fuori quello che ho dentro. Poi da mio padre, una persona che sapeva costruire le cose. E che mi ha insegnato a farlo. Insieme avevamo avevamo costruito una lampada, mi era piaciuta questa esperienza. Poi sfogliando un numero di Domus, da una pagina pubblicitaria, ho incontrato il lavoro di Ingo Maurer. Ne ho approfondito la conoscenza e sono rimasto affascinato. È stato in quel periodo che, in maniera totalmente incosciente, ho deciso di aprire un laboratorio di lampade in cui facevo tutto io. 24 mq dove inventavo, producevo, montavo questi oggetti e le esponevo in una piccola vetrina. Per me era già tutto, una cosa che mi rendeva pieno: la possibilità di creare, di esporre. Sono stati anni entusiasmanti anche se difficili.

Asintoto & Aurora by Davide Groppi
Vis a Vis by Davide Groppi, design Michele Groppi

Qual è la tua idea di luce?
La luce è qualcosa che mi serve per raccontare delle storie. E le lampade sono lettere di un alfabeto di cui mi sono dotato per costruire anagrammi, parole, racconti. Partendo da Euclide (punto, linea, superficie) e dagli stati fondamentali della luce: diretta, indiretta e diffusa. La mia non è una visione illuminotecnica. Non affronto mai un progetto esclusivamente dal punto di vita quantitativo. Il mio è un approccio umanistico, è come iniziare a leggere un romanzo.

Qual è stato il tuo primo vero successo?
La Nulla, nel 2010, che in parte coincide con i primi utilizzi dei Led. Un buchino nel soffitto che alloggia un fonte luminosa. Un’esperienza che mi ha cambiato, perché non pensavo che un gesto così semplice – la Nulla non ha forma, è solo assenza ed essenza di luce – sarebbe stato così determinante. È stato il capofila di tutta una serie di apparecchi, nati dopo. Mi fa venire in mente John Cage, il musicista americano che compose 4’33”, quattro minuti e trentatré secondi di silenzio. Tutta la mia produzione successiva è un tentativo di non interrompere quella magia, quella purezza.

Puntina by Davide Groppi, progetto degli anni ’90

Altri momenti importanti nella tua vita professionale?
L’incontro con la signora Maddalena De Padova, che mi ha permesso di esporre le mie cose da lei – in quel momento ho avuto la sensazione di essere al centro della musica. Poi alcuni progetti che sono venuti dopo: i miei momenti di passaggio li associo sempre alle lampade, che sono le mie canzoni: Sampei, Infinito

A proposito di Infinito, che è nato sperimentando con una striscia di Led: che importanza ha il gioco nella tua pratica di progettista?
Tantissima. Non mi piace prendere troppo sul serio il mio lavoro, è proprio giocando che riesco a tirare fuori la parte più istintiva del processo creativo. È anche per questo che non piace molto la parola “design”: si prende sul serio, intellettualizza tutto. Ma non è una scienza esatta. Alcune luci che ho fatto sono cose a cavallo tra il ready made e lo scherzo.

Sampei by Davide Groppi, design Enzo Calabrese – Davide Groppi

Hai chiamato i tuoi showroom “Spazi esperienze”. Quello all’interno dell’azienda addirittura “Teatro”. Come mai?
È collegato all’idea di un luogo di rappresentazione in cui la luce è lo strumento che serve per rappresentare: è il tema dalla fotografia, del cinema e del teatro; e mi piace considerare le lampade come attori. Ho un’idea teatrale dell’abitare. Il nome “Spazio esperienze” deriva dal fatto che credo molto nel fatto del toccare con le mani, con il cuore, col cervello, quindi nel fare in modo che questi spazi – adesso sono dieci nel mondo – siano luoghi in cui è possibile entrare nel nostro mondo, interagendo con le lampade in modo autentico. Voglio prendere per mano il visitatore, il cliente, il progettista, chiamalo come vuoi, e portarlo dentro il mio film.

Ci sarà qualcosa di speciale in quello che inaugurerà durante la Milano Design Week?
Innanzi tutto per me è un motivo di grande emozione, non avrei mai pensato in – dico una cosa banale, lo so – di aprire uno spazio in via Manzoni. Sarà speciale perché per la prima volta avremo un luogo pensato fin dall’inizio per poter vedere in modo più ampio e più interattivo cosa vuol dire usare la nostra luce.

Teatro

I tuoi prodotti sono stati scelti da molti chef importanti per i loro ristoranti. Secondo te c’è un legame particolare tra luce e cibo?
Penso di sì, sempre legato all’esperienza – perché stiamo parlando di un certo tipo di ristoranti, che sono di fatto delle gallerie d’arte. Cerco sempre di proporre a questi chef l’idea che la luce possa essere considerata un ingrediente della cucina, quindi di mettere la luce nel piatto, di considerare queste situazioni – alcune volte ci riesco, altre meno – come un po’ caravaggesche, con la luce diretta sul tavolo e lo spazio immerso in una situazione di semi oscurità, dove ogni ospite ha la possibilità di sentirsi l’unico ospite del ristorante.

Quando hai iniziato pensavi che avresti ricevuto due Compassi d’Oro (per le lampade Nulla e Sampei, ndr)?
Ma no, e non ci credo neanche adesso. Sono entrato in questo mercato da outsider, da uno che ha rotto un po’ le scatole in giro. Sono rimasto sorpreso, colpito, grato. Anche questo è stato un passaggio importante, soprattutto riguardo all’essere conosciuto tra gli addetti ai lavori. Ma non mi hanno cambiato. Il mio senso di ricerca e di curiosità è rimasto inalterato. Mi piace rimanere in una condizione di fame, pensare che ci sia ancora qualcosa da scoprire.

Ovo by Davide Groppi, design M. Alajmo – R. Alajmo
TeTaTeT by Davide Groppi

La cosa di cui sei più orgoglioso?
Quella di lavorare con una settantina di persone che più o meno consapevolmente, chi più chi meno (alcuni lavorano con me da 25 anni), hanno creduto in questo progetto. Questo mi rende orgoglioso perché spesso dietro queste persone ci sono famiglie, figli, vite. Mi rende responsabile.

Il sogno nel cassetto, sia come designer sia come imprenditore?
Coincidono, perché vivo in maniera totalizzante il mio lavoro. Direi lo scoprire qualcosa che non esiste, Per questo lavoro da molti anni sul tema della magia, che per me significa cercare una luce senza fonte. Con la Nulla ci sono andato vicino, ma sto proseguendo. Sto lavorando su alcuni progetti che in qualche modo si avvicinano a questa utopia.

Post Prandium by Davide Groppi

Ti senti più designer o più imprenditore?
Nessuno dei due. Mi sento una persona che lavora sul tema della creazione, alcune volte mi imbarazzo quando mi definiscono imprenditore perché questo lato – che è una componente della mia vita – è stato quasi un effetto collaterale, un corollario di quello che sono, che ho fatto. L’essere designer mi piace, ma preferisco usare il termine “inventore”.