Achille Salvagni - Photo © Simon Upton
Achille Salvagni - Photo © Simon Upton

Pochi materiali, tanti particolari. Citazioni colte e suggestioni architettoniche che provengono da lontano. Che sia una villa o uno yacht, Achille Salvagni propone progetti d’interior dove tutto è in perfetta armonia. Scelte stilistiche e soluzioni sono una conseguenza l’una dell’altra, con un’attenzione maniacale al dettaglio. La materia appare plasmata, quasi “scavata”, in un perfetto mix tra classicismo e contemporaneità, con evocazioni storiche e suggestioni architettoniche che partono dall’antica Roma a quella del Rinascimento e dal Barocco, passano spesso dagli Anni 20-30 e arrivano fino ai nostri giorni. Progetti dove nulla è scontato, tutto è disegnato per quel preciso luogo, e il gioco dei contasti crea l’inaspettato. Come ci spiega lui stesso in questa intervista.

Dal residenziale al nautico, in quale ambito si sente più a suo agio?
In studio ci occupiamo prevalentemente di tre ambiti: grandi residenze, yacht a vela o a motore, e poi c’è il design, che nel mio caso si è evoluto in modo importante nel furniture design in edizione limitata. È il settore che ultimamente mi dà maggiore riconoscibilità insieme alla libertà di creare come fa un artista: non avendo un preciso cliente a cui fare riferimento, non ho vincoli di materiali, costi e tempo. È la nicchia più estrema del design. Se il prêt a porter per la moda può essere associato all’industrial design, con la mia collezione di oggetti sono più prossimo all’haute couture.

Achille Salvagni Atelier, London

Achille Salvagni Atelier, London

Ma com’è iniziato l’ambito del design a edizione limitata?
Il trampolino di lancio è stato il lavoro fatto su Numptia (un megayacht di Rossinavi di 70 metri, varato nel 2011, ndr) dove tutto, dalle maniglie ai cabinet è stato disegnato e creato appositamente. Ne è un esempio un tavolo di 6 metri che troneggia nel living, un grande osso di seppia realizzato in alpacca, un mix tra argento e alluminio, una lega che dà un effetto quasi dorato al metallo sotto i riflessi della luce evocando i movimenti della sabbia e dell’acqua.

E poi?
E poi 8 anni fa ho creato Achille Salvagni Atelier, una sezione apposita del mio studio dedicata alla creazione di oggetti di design unici. A Londra abbiamo una galleria a Mayfair che racconta questo lavoro e presto ne apriremo una seconda anche a New York. Oggi i miei pezzi sono collezionati in tutto il mondo da George Soros, Norman Foster, Bryan McCarthy, Tom Ford, Paul Simon, Michael Bloomberg. Alcuni oggetti sono stati battuti da Sotheby’s a Londra e Hong Kong o da Piasa a Parigi insieme a mobili di firme autorevoli come Giò Ponti o Carlo Mollino.

Dove trova l’ispirazione?
Il lavoro svolto nell’Atelier è la sintesi del mio background romano, conoscenza storica, in cui c’è tanta Roma antica, il barocco e tanto classicismo asciugati e “piegati” dal design svedese, probabilmente filtrato dal lavoro di Alvar Aalto.

Un mix inconsueto…
Sono cresciuto a Roma, respiro da sempre la bellezza dei classici; la laurea in architettura l’ho conseguita alla Sapienza, ma l’ultimo anno l’ho svolto al Royal Institute of Technology di Stoccolma, dove ho assorbito la poetica del legno curvato. Così ho fuso un po’ della mia italianità con una poetica compositiva che ha a che fare con l’esperienza di Folke Arström, Alvar Aalto, Sigmund Leverentz, architetti nordici che hanno codificato il razionalismo organico, per cui la natura subentra e prende il sopravvento sulle forme rigide, si piega e torna a essere natura.

Trideck by Azimut Yachts

Trideck by Azimut Yachts

Alla nautica come è approdato?
Il mio inizio è sulla terra ferma. Dai progetti d’interni di residenze sono passato all’interior design di barche, e da qui il cambiamento verso interni di dimore autorevoli, con una caratura diversa. La nautica di barche importanti è stata la vetrina che ha permesso di far vedere il mio lavoro in ambiti che difficilmente avrei potuto raggiungere.

La sua prima barca creata?
Mikimar
, un 118’ Canados (nel 2003): un lavoro che mi proposero alcuni clienti con i quali stavo lavorando per un progetto di un padiglione per uffici. Ai tempi ero neolaureato, inesperto ma ricco di passione. Una sfida, ma il lavoro piacque e il successo portò l’apertura a un settore nuovo; poi arrivarono i progetti creati con Oceanco, Rossinavi, Azimut Benetti e Baglietto, tra gli altri.

Trideck by Azimut Yachts

Residenziale e nautico sono ambiti molto vicini. C’è un passaggio di esperienze?
Residenziale e nautico sono ambiti vicini, ma bisogna stare attendi a non creare dei mostri. Trovo abbastanza aberrante trasferire le esperienze del residenziale sulle barche, perché una barca non è una casa. Non ha le stesse logiche di composizione. Dal residenziale però arriva qualcosa. Un conto è avere trasmigrazioni di esperienze, e un conto è disegnare uno yacht come una casa o disegnare una casa come uno yacht. Il residenziale ti dà la possibilità di sperimentare l’aggregazione delle cose. La barca è un sistema che si sviluppa attorno a un tema codificato dall’inizio, mentre una casa posso codificarla numerose volte e ogni volta vivere lo spazio e decidere di modificare le dimensioni, le superfici, i colori… Se voglio, in una casa posso lavorare in maniera quasi rinascimentale, completamente artigianale.

Club M by Baglietto

A proposito di Rinascimento… Ci sono molti rimandi storici nei suoi ambienti…
Mi definisco un onnivoro e leggo in continuazione passando dall’arte alla moda e alla cultura in generale, sono anche molto appassionato di storia. Un mix di conoscenze ed esperienze a vari livelli che poi sedimentano nei progetti. Per esempio sul Baglietto Club M abbiamo usato lini egiziani e superfici materiche che al contatto rimandano al velluto rinascimentale. Nel progetto della cabina armatoriale mi sono ispirato ai temi tanto cari a Borromini, cercando con delle illusioni ottiche e degli artifici architettonici di dilatare uno spazio altrimenti molto compresso.

La cultura è alla base di ogni progetto. Trova sempre clienti altrettanto colti?
No, ma in molti si lasciano sedurre dagli argomenti che io provo a sottoporre. Credo che il risultato del mio lavoro passi attraverso una continua ricerca per arrivare a quella perfezione tra segno e realizzazione, che trova la massima sintesi nell’approfondimento e nella ricerca.

Club M by Baglietto

E come rende unico un ambiente?
In tutti i progetti, creo uno shell neutro con accenti che danno un tocco di unicità, un’opera d’arte o un oggetto di design, una texture o un colore particolari. C’è sempre qualcosa che rompe un equilibrio perfetto: un pezzo d’arte o un oggetto di design, il cambiamento repentino delle scale e dei rapporti dimensionali. E poi tendo a creare spazi che sembrano scavati, che non sono mai spazi sommati; luoghi monocromatici, in cui l’intonaco sembra scavato con la mano e il legno sottratto con una pialla e scavato dal pieno. Mi piace l’idea della fluidità del segno: penso che sia più prossimo alla indole umana. Le forme fluide e le forme morbide sono per me un modo per addolcire il segno rigido che tutta l’architettura razionalista ha imposto e che risulta meno confortevole ai nostri sensi.

Nei suoi progetti c’è spesso un tema da cui parte: su Club M era il viaggio interstellare… Anche nel residenziale ha questo tipo di approccio?
La barca permette di creare una storia che è interna e che trova un’armonia con quello che c’è intorno. La barca è un oggetto che si muove e cambia costantemente scenario e luogo geografico. Crea un’armonia perché quello che è dentro è studiato per creare un percorso chiuso. Nella casa no. Le luci e le riflessioni che si creano avvengono solo in quella casa. Il modo di posizionare un’opera o un oggetto è legato a condizionamenti che fanno parte di un canovaccio di ispirazione, ma che sono fortemente connaturati al luogo dove si trova e al proprietario che la vive. Non ho evidentemente lo stesso approccio progettuale per una casa che affaccia su Central Park rispetto a una che sorge al Cairo o in una vallata alpina.

50 meters M/Y Endeavour II by Rossinavi

Qual è la sua mission in tutta questa originalità?
La mia mission non è difforme da quella di altri designer: penso che il progettista si debba porre come unico obiettivo di non tradire la funzione e di esaltare armonia e bellezza. Se questa filosofia viene tradita, l’esperienza viene menomata. Io cerco sempre di far sì che la funzione rimanga inalterata e che insieme a essa ci sia un’esperienza ludica e un’esperienza creativa che ne esalti l’utilizzo.

E il Salvagni Thought?
La mia filosofia è legata alla tradizione, che è sempre la piattaforma per proiettarmi verso il futuro. La storia è un modo per partire e conquistare ciò che sta davanti a me in una logica che è sempre pacata e molto rispettosa. Mi piacerebbe essere considerato un architetto gentile nel modo in cui affronto il progetto. Progettualmente non mi considero aggressivo, non sono un urlatore. Sono una persona che tende a fare le cose sottovoce, guardando i piccoli dettagli senza perdere di vista l’armonia generale.

Photo © Paolo Petrignani, Simon Upton

49 meters M/Y Aurora by Rossinavi