Il sottile legame tra architettura, sostenibilità e business

“Si possono usare le immagini per costruire frasi, discorsi e pensieri, togliendo alle parole il monopolio del sapere?”
Con questa domanda-provocazione si apriva nell’aprile del 2007 Esperanto, l’ultimo numero di Domus con Stefano Boeri alla direzione, un numero fatto solo – appunto – di immagini. Era l’inizio premonitore di una rivoluzione per il mondo della comunicazione non solo legata all’architettura e al design. L’architetto Stefano Boeri ha lasciato impronte importanti nell’architettura e nell’interior con progetti che hanno fatto il giro del mondo, progetti con una personalità distintiva, coniugando la sua professione con impegno culturale e personale, riuscendo a dare forme concrete a pensieri e desideri, armonizzando i propri ideali con il mercato. IFDM ha incontrato Stefano Boeri per una conversazione sulla sua attuale visione dell’architettura e dell’interior, su cosa succede in un mondo ancora molto lontano (non solo geograficamente) come la Cina passando dall’ineludibile Made in Italy. Partendo da quell’aprile del 2007.

Riprendendo l’incipit di Esperanto, che cosa è cambiato negli ultimi 10 anni?
Sono cambiate tante cose. Sul fronte dell’immagine c’è stato l’avvento dei social e soprattutto di Instagram. Instagram va oltre l’essere un social, è una vera e propria piattaforma di comunicazione che non ha bisogno di essere tradotta, annulla tutte le differenze linguistiche. Instagram è un Esperanto più universale dell’esperanto. Nel mondo della carta stampata l’istanza del 2007 è ancora aperta, nessuno ha tentato di farla propria trasformandola in un vero e proprio progetto editoriale. C’è poco coraggio nel mondo dell’editoria, la crisi avrebbe dovuto e dovrebbe indurre a trovare nuove strade, invece che (come è successo) rinforzare le spinte alla conservazione. Questo vale sicuramente per il mondo dell’architettura e dell’urbanistica, ma anche in quello dell’interior.

Nel corso della sua carriera lei ha toccato spesso il tema dell’ospitalità, sia legata all’hotellerie, che in senso più ampio. Ha trovato in questo settore dei valori aggiunti non riscontrati in altri ambiti?
Il tema dell’ospitalità è fondamentale perché significa progettare e costruire spazi dove si mette in scena il rapporto con l’altro, che nel mondo contemporaneo è una condizione essenziale per la qualità della vita e per la cultura delle nostre città. Siamo in un mondo in cui disagio, pericolo e sofferenza si accompagnano sempre a spazi dove il rapporto con l’altro è scadente o inesistente. Dove esiste lo scambio, la qualità della vita e del pensiero aumentano, le relazioni decollano. L’ospitalità è proprio l’essenza dell’incontro, una condizione che permette di leggere anche sé stessi negli occhi dell’altri, una verifica sulla propria identità. L’ospitalità è storicamente questa.

Ma l’ospitalità è un mondo molto fluido, con cambiamenti che avanzano silenziosi ma forse inesorabili: le è capitato di ragionare con le committenze sul tema dei Millenials?
Sì, assolutamente, è un aspetto che sempre di più viene preso in considerazione dalle proprietà legate al mondo dell’hospitality. Il turismo planetario è un fenomeno potente e al tempo stesso regimentato. Soprattutto quello dai Paesi asiatici verso il mondo occidentale vive di codici esperienziali e percettivi precostituiti. Altra cosa è il turista occidentale colto che ha invaso il mondo, si muove per piccoli gruppi, quasi delle tribù che comunicano tra di loro attraverso community riservate, non sono facilmente intercettabili dai tradizionali strumenti di marketing.

Cosa rappresenta Mountain Forest Hotel e in quale direzione si sta muovendo la Cina dal punto di vista dell’architettura e dell’ambiente?
Il Mountain Forest Hotel è un progetto di ospitalità nuovo per la cultura cinese. L’approccio alla sostenibilità con esso dimostrato ritengo non sia un caso isolato: i cinesi si sono accorti che non potevano proseguire in un inurbamento di 14 milioni di nuovi abitanti ogni anno costruendo nuove periferie (Pechino e dintorni costituisce una megalopoli da 109 milioni di abitanti). Una follia urbana che ha creato problemi di trasporti e un aumento esponenziale dell’inquinamento. Oggi la richiesta progettuale che arriva dalla Cina è di immaginare nuove piccole città (non come da noi dove si migliorano città già esistenti), molto dense e con il verde come elemento dominante. Fino a poco tempo fa si costruiva senza regole, adesso il governo cinese ha deciso di invertire la rotta dei progetti urbanistici legati all’accoglienza. A Nanghing abbiamo un cantiere già operativo per la costruzione di due torri di Bosco Verticale, una delle quali sarà un albergo e anche lì la richiesta è quella di un’ospitalità in rapporto con la natura. Allo stesso modo, Mountain Forest nasce come ingresso a un parco naturale in una delle zone più belle e inaspettate del mondo, colline alberate, pianure con villaggi. L’albergo è fatto sia per esploratori, ma anche per i business man. Per questo progetto abbiamo seguito anche l’interior, argomento sempre molto complesso da trattare con la committenza locale, cercando di dribblare alcuni – chiamiamoli amichevolmente così – vincoli che le proprietà cinesi pongono come condizione; i bagni, per esempio, devono avere sempre una vista panoramica. Mountain Forest non è ancora terminato e, pur se partito prima, è ancora indietro rispetto per esempio alle due torri di Nanching. Le velocità di costruzione in Cina riservano spesso delle sorprese inaspettate.

Com’è il suo rapporto con il Made in Italy? È una richiesta forte nei Paesi dove lavora maggiormente?
Assolutamente sì, a Pechino con una grande azienda che si chiama Easy Home stiamo progettando Italian Design Center, un building dedicato interamente al design italiano, un enorme showroom dove ospitare anche 5 designer che chiameremo ad arredare uno spazio in completa autonomia. L’aspetto interessante di Easy Home è che il loro progetto consiste nel portare i designer italiani in Cina e promuoverli, mantenendo intatta la loro storia e la loro indipendenza progettuale. E’ un progetto che si svilupperà in tempi brevissimi, contiamo a settembre di aprire il cantiere e di rendere operativa la struttura nel 2018. Per Mountain Forest abbiamo proposto molte aziende italiane, la valutazione è ancora in corso.

Come valuta le aziende italiane all’estero?
Fino a cinque o sei anni fa succedeva spesso che le aziende italiane venissero in Cina (ma non solo, anche nel Middle East è successo così) con una certa arroganza. Le aziende che si attendevano di ricevere dal committente locale di turno richieste di offerte quasi automaticamente, senza l’umiltà di approcciare il nuovo mercato studiandone la cultura e le abitudini. Questo è avvenuto non solo nel design, anche il mondo della moda ha pagato un prezzo in questo senso. Rimanendo nel mondo della moda, se penso a uno straordinario modello positivo di politica estera di un’azienda penso a Zegna: ha cominciato negli anni ‘80 a esplorare la Cina, a studiarla e a capirla. L’umiltà e l’attenzione hanno premiato e oggi la presenza di Zegna in Cina è radicata e organizzata. Mi pare che oggi la lezione sia stata interiorizzata, sia per le aziende di design che per quelle delle finiture legate all’edilizia è avvenuto quello di cui parlavamo a inizio conversazione: la consapevolezza dell’importanza della cultura dell’altro. Il segreto per l’ospitalità di successo