Guicciardini & Magni Architetti - Photo © Mario Ciampi
Guicciardini & Magni Architetti - Photo © Mario Ciampi

Fondato nel 1990 da Piero Guicciardini, Marco Magni e Nicola Capezzuoli, lo studio fiorentino Guicciardini & Magni Architetti ha fin dall’inizio focalizzato il proprio lavoro sui Beni Culturali, declinandolo agli ambiti dell’architettura, del restauro architettonico, dell’allestimento museografico e dell’interior design. Con all’attivo oltre 60 musei e 80 mostre temporanee in Italia e all’estero, Guicciardini & Magni si sono confrontati con tutti i tipi di esposizione, dall’archeologia all’arte contemporanea, dall’industrial design all’arte classica, dall’etnografia alla moda, grazie a una trasversale concezione di allestimento che riconosce sia l’irrinunciabile centralità dell’opera sia le mutate esigenze del visitatore contemporaneo. Tra le realizzazioni più significative, spesso derivanti da concorsi internazionali, spiccano l’allestimento dei Musei dell’Opera del Duomo di Firenze e Pisa, del Tekfur Palace e dei musei del Topkapi Palace di Istanbul e quelli recentissimi del Museo Nazionale della Norvegia a Oslo e delle Gallerie della Biblioteca Richelieu a Parigi.

Architetto Magni, come è cambiato negli ultimi decenni il concetto di museo?
Per tutto il Novecento il museo è stato un luogo di ‘soggezione culturale’ capace di generare, soprattutto nei piccoli, una sensazione di disagio. Un tempo i musei erano visitati soprattutto dagli specialisti e dalle persone più colte, non da tutti. Negli ultimi decenni invece hanno assunto un enorme ruolo sociale. Certo anche prima rappresentavano ambizioni e identità nazionali, configurandosi come segno e termometro del potere istituzionale, ora però si sono trasformati in vero punto di riferimento culturale e sociale per le comunità in cui si trovano. Si va al museo non solo per imparare ma anche per incontrare, giocare, studiare, elaborare divertendosi.

Su questo tema hanno avuto particolare influenza le esperienze anglosassoni, le prime a focalizzarsi sul visitatore e non solo sulla conservazione delle opere. Già da prima della seconda guerra mondiale infatti in ambito britannico si guardava con grande attenzione all’educazione, al mondo dei bambini, alla didattica e al ruolo del visitatore, certo visto spesso come una sorta di ‘cliente’, ma comunque degno di attenzione. Oggi il visitatore è diventato il vero protagonista. Molte visite restano superficiali perché il livello di conoscenza medio si è purtroppo abbassato, ma il nuovo pubblico costituisce un ampio spaccato sul piano sociale e dell’istruzione. Oggi il visitatore si diverte, si distrae, ma sente il diritto di farlo in quanto non avverte più quel senso di disagio a cui accennavo.

Come si traduce questo cambiamento sul piano progettuale?
Le aree di accoglienza sono diventate fondamentali. Gli ingressi dei musei, che prima costituivano solo aree monumentali e di rappresentanza, sono ora la chiave di lettura, il biglietto da visita dell’intera operazione. Le fasce di pubblico si sono molto differenziate, tanto da comprendere utenze specifiche come le minoranze o i portatori di disabilità. Il museo è quindi diventato un’istituzione con un potere politico, spesso di ‘commento’ su fatti, movimenti e comportamenti esterni.

Museo dell’Opera del Duomo, Pisa

Museo dell’Opera del Duomo, Pisa

Noi abbiamo cercato di anticipare alcune tendenze. Quando abbiamo iniziato, all’inizio degli anni Novanta, eravamo in pochissimi a occuparci di museografia, ma fin dai nostri primi lavori sui piccoli musei etnografici del Sistema Museale Senese abbiamo scelto di lavorare sui concetti di apertura e inclusività, cercando di superare barriere architettoniche e culturali. I laboratori didattici sono sempre stati molto presenti nei musei su cui abbiamo lavorato, rendendoci evidente l’importanza dell’utenza infantile e scolastica.

Sul piano della comunicazione abbiamo subito compreso l’importanza della grafica, dell’illuminazione e del linguaggio multimediale nella creazione di un percorso coinvolgente. In quanto museografi e allestitori, dobbiamo sapere come gestire gli elementi che all’interno del percorso di visita facilitano quell’appropriazione di emozioni, interesse e percezioni che poi si trasformano in esperienza individuale. Ci troviamo quindi a valorizzare le potenzialità di luoghi specifici, di cui cerchiamo di ascoltare e interpretare le ‘voci interiori’ mettendo insieme le esigenze curatoriali e le nostre interpretazioni non solo di opere e oggetti, ma anche dei valori e delle storie che portano.

Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

Molto spesso in Italia, ma meno all’estero, ci occupiamo anche degli aspetti architettonici, che consideriamo fondamentali avendo avuto come maestro Adolfo Natalini. Lo dimostra il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, dove la gestione degli aspetti architettonici è centrale rispetto alle esigenze dell’allestimento. Nella Galleria del Campanile si trovano sedici quinte strutturali rivestite di marmo, nate per ospitare le sedici sculture originali del Campanile di Giotto, mentre la volontà di ricostruire l’antica facciata arnolfiana della Cattedrale ha generato lo spazio straordinario in cui si trova.

In quali vostri lavori si avverte maggiormente il valore civile e politico del museo?
Esemplare in questo senso è stato l’allestimento del Museo Nazionale di Oslo. Un museo imponente, che accorpa 4 istituzioni differenti e si estende su una superficie di oltre 50mila metri quadrati, di cui 11mila (circa 90 sale) destinati a esporre in modo permanente soggetti molto diversi come l’archeologia, le arti applicati, il design, oltre all’arte e all’architettura. Una narrazione potente che attraversa la storia e i suoi riflessi visti da un paese come la Norvegia, fino a qualche tempo fa percepito come ‘periferico’ e che invece già alla fine dell’Ottocento con i suoi drammaturghi (per esempio Ibsen) e i suoi artisti (in primis Edvard Munch) inizia a incidere in modo decisivo il panorama culturale europeo.

Museo Nazionale, Oslo

Museo Nazionale, Oslo

Il Nasjonalmuseet racconta queste storie in modo nuovo e ‘fresco’, grazie anche a un processo democratico a cui il nostro gruppo (che comprendeva i designer grafici Rovai Weber, l’illuminotecnico Massimo Iarussi e il progettista multimediale Alain Dupuy) ha lavorato per quasi 5 anni interfacciandosi con 17 diversi gruppi curatoriali. Sono stati incontri svolti a Oslo all’insegna del rispetto, in riunioni in cui emergevano idee che spesso trasformavo in schizzi, poi rielaborati a Firenze nelle settimane successive. Per fortuna la pandemia è iniziata quando eravamo ormai in fase realizzativa, tanto che alcuni di noi hanno passato lunghi periodi in Norvegia a seguire i lavori. In questo caso i concetti di inclusività, apertura e generosità, che noi abbiamo cercato di interpretare, appartenevano alla missione stessa del museo.

Traducendoli in che modo sul piano pratico e ovviando con quali mezzi alla bassissima soglia di attenzione del visitatore contemporaneo?
Basilarmente introducendo nel percorso di visita variazioni spaziali, illuminotecniche e cromatiche. Essendo il percorso del Nasjonalmuseet impostato su circa 90 sale molto simili per altezza, dimensioni e materiali, data la conformazione architettonica progettata da Klaus Schuwerk, siamo stati costretti a inventare installazioni non solo basate sugli oggetti, ma anche capaci di differenziare gli ambienti che li contenevano.

Abbiamo quindi concepito installazioni molto particolari e una linea di panche, con sedute individuali, giochi per i bambini, elementi multimediali e di supporto, volte non solo all’interazione multimediale, ma anche a quella fisica, declinate in modo sempre diverso nello snodarsi del percorso. Le sedute sono state realizzate, come le teche e tutti gli allestimenti, dall’azienda italiana Goppion utilizzando materiali locali come la betulla curvata e la lana norvegese, allo scopo di introdurre nelle sale museali un’atmosfera domestica e quotidiana.

Biblioteca Richelieu, Parigi

Biblioteca Richelieu, Parigi

Nel caso dell’allestimento della Bibliotèque Richelieu di Parigi abbiamo adottato l’atteggiamento opposto, perché la grande diversità e stratificazione storica delle sale necessitava un approccio più pacato e omogeneo, che abbiamo connotato con materiali di pregio appartenenti alla tradizione decorativa aulica francese come l’ottone e il bronzo.

A cosa state lavorando ora?
Abbiamo da poco allestito alle Terme di Diocleziano di Roma una grande mostra di scultura classica, L’istante e l’eternità, promossa dal Ministero della cultura italiano e dal Ministero della cultura e dello sport della Grecia. Progetti di allestimento permanenti a cui stiamo lavorando riguardano Pompei, il Louvre e il Victoria and Albert Museum di Londra, dove siamo stati selezionati per la fase finale del concorso relativo alle Gilbert Galleries. Altri progetti riguardano i musei archeologici di Volterra, Firenze e Napoli e il Camposanto di Pisa.

Mostra ‘L’istante e l’eternità’ – Terme di Diocleziano, Roma

Mostra ‘L’istante e l’eternità’ – Terme di Diocleziano, Roma

Mostra ‘L’istante e l’eternità’ – Terme di Diocleziano, Roma

Quali sono i vostri altri principali punti di riferimento?
Privilegiamo un atteggiamento ricettivo, di ascolto, perché siamo consapevoli che i musei sono organismi  collettivi. Una collezione può essere raccolta da un solo individuo, ma un museo è creato da istituzioni e professionisti che uniscono i loro contributi per dare vita a qualcosa di nuovo, almeno nel museo di oggi. Spesso il nostro lavoro viene accostato, anche immeritatamente, a quello dei grandi museografi italiani.

In realtà abbiamo poco a che vedere con l’approccio scarpiano o albiniano, imperniati su un’idea di visitatore molto colta ed élitaria, basata sul porgere con gesti spesso poetici  e significati altissimi, che avevano bisogno di una solida preparazione per essere compresi. Il gruppo italiano a cui ci sentiamo più affini sono i BBPR, perché fin dagli anni ‘60 e ’70 hanno praticato un’idea sociale di museo, con l’intenzione di aprirsi alle masse. Lo facevano affidandosi alla collaborazione di grafici e artisti, come nel Museo al Deportato di Carpi, intercettando le diverse professionalità che ruotano intorno al museo e facendosi quindi portatori di valori collettivi.

Photo © Mario Ciampi

Mostra ‘L’istante e l’eternità’ – Terme di Diocleziano, Roma