L’oliera disegnata da Sottsass, i bollitori di Sapper, le pentole di Aldo Rossi, i cavatappi di Mendini – il mondo della cucina e della tavola è stato, per Alessi, un modo per far entrare il grande design nelle case di tutti. L’artista e pensatore britannico William Morris alla fine dell’Ottocento scriveva “Non avere nulla nella tua casa che tu non sappia essere utile o creda essere bella”. Alberto Alessi, presidente dell’azienda di famiglia (fondata da suo nonno nel 1921), è una persona che ha sempre creduto nel valore del progetto.
Il suo apporto di ricerca creativa inizia nel 1970, quando inizia a collaborare con il gruppo Exhibition Design (una sorta di “comunità di idee” che accoglieva personaggi come Bruno Munari e Mario Bellini) e con i progettisti Franco Sargiani e Ejia Helander. L’idea di Alberto Alessi è di creare oggetti capaci di comunicare anche poesia, e per questo pensa di produrre anche dei multipli d’arte con l’etichetta “Alessi d’Après”. Un approccio teso alla ricerca che porterà l’azienda, nel tempo, a collaborare con più di 900 designer. Una storia che è anche un progetto culturale.
Alessi, che rapporto esiste secondo lei tra design e società?
Tutto è fortemente influenzato dal presente e, il nostro settore, quello del design, non è certamente escluso, anzi… La missione e natura di un’azienda come la nostra è quella di essere un mediatore tra le migliori espressioni di creatività contemporanee a livello internazionale e i desideri del pubblico. Questa pratica mediatrice dà vita a oggetti che sono dei veri e propri interpreti del proprio tempo. Capire il presente è quindi necessario (oltre che per tante altre ragioni) anche per questo scopo, cioè interpretarlo.
Come?
Facendo una riflessione, tre parole che – credo – possano aiutare a capire il presente potrebbero essere: decantazione, integrità e bellezza.
Ce le spiega?
Decantazione: per dar vita a un buon progetto, e di conseguenza a un oggetto che ci accompagni nel nostro quotidiano, non conosco una modalità diversa di operare se non quella di osservare e poi metabolizzare il presente cercando di capire quello che ci accade intorno con il fine di decantare ovvero, letteralmente, far cadere tutto sul fondo: stimoli, pensieri, immagini, suoni… Solo così – questo vale nel design ma trasversalmente in tutti gli ambiti – può nascere una buona idea, un bell’oggetto, una bella amicizia, e perché no (qui parlo da appassionato e da produttore di vini) anche una buona degustazione.
Passiamo alla seconda parola: integrità.
L’integrità ci permette di vivere appieno il presente e capirlo meglio; essere integri e dunque seguire la propria missione (senza troppa interferenza di certo marketing contemporaneo) ci rende più lucidi, concentrati e focalizzati su ciò che si sta facendo.
Per finire, la bellezza.
Riuscire a vedere e scovare la bellezza, anche nelle sfumature, è una capacità di chi sa capire e vivere il presente. Ho sempre pensato che il design sia una disciplina creativa di matrice artistica e poetica; serve insomma a portare un poco di trascendenza nella nostra società dei consumi, a distinguere tra la funzione e l’emozione, a provocare sorpresa e commuovere con la bellezza dei nostri oggetti.