Le interviste di IFDM: Ed Ng – AB Concept

Incontro con AB Concept, studio di Hong Kong specializzato nel design dell’ospitalità (ma non solo). Dove si scopre che tutto il loro lavoro nasce dall’equilibrio tra razionalità e creatività. Con un tocco speciale

Ed Ng

Con progetti in tutto il mondo (dall’Algarve a New York passando per Kuala Lumpur, Qufu, Fuzhou e innumerevoli altri luoghi, molti dei quali legati al mondo dell’ospitalità), lo studio AB Concept, fondato 25 anni fa da Terence Ngan, architetto, ed Ed Ng, interior designer, ha creato un linguaggio molto personale di immaginazione e lusso. Il loro approccio al design corre su due binari paralleli: da un lato, il desiderio – e la capacità – di creare ogni volta una “esperienza emotiva” unica. Dall’altro, la capacità tecnica di tradurre questo concetto astratto in ambienti, finiture e dettagli. Alla classica relazione tra forma e funzione loro aggiungono il sentimento. “Per noi la nostra missione come la traduzione di emozioni intangibili in realtà tangibili”, dicono. “Capiamo le persone e lo spazio, e come unire queste due entità per catturare un sentimento in ogni esperienza spaziale”. Abbiamo incontrato Ng durante una videochiamata dalla casa che condivide con Ngan a Karuizawa, in Giappone: un luogo pieno di luce e circondato dal verde. Per creare bellezza, bisogna conoscerla bene…

Ristorante Paper Moon al Raffles London at The OWO by AB Concept – photo © Tom Parker

Quando avete iniziato a lavorare insieme lei e Terence?
Abbiamo iniziato la nostra attività nel 1999. Terence è un architetto: quando ci siamo conosciuti, all’epoca lavoravamo per aziende diverse. Poi abbiamo pensato che forse era arrivato il momento di fare qualcosa insieme a livello professionale. Partner nella vita, partner nel lavoro – e lo siamo da 25 anni. Abbiamo un’estetica molto simile. Ma ognuno di noi sfida anche le idee dell’altro: in una partnership è necessario farlo. Abbiamo iniziato con le residenze private, ma il nostro obiettivo finale è sempre stato l’ospitalità, soprattutto nel settore del lusso.

Karuizawa House by AB Concept
Terence Ngan & Ed Ng

Cosa rende il settore dell’ospitalità così rilevante e interessante per voi?
Credo che sia anche una mia passione personale. Quando ero all’ultimo anno di liceo ho partecipato a un programma di scambio. Ho conosciuto ragazzi provenienti da tutto il mondo e questo mi ha aperto la mente, allora non c’era internet. Ho capito che volevo viaggiare ed esplorare di più. Avevo anche una passione per l’arte e il design. Quindi, in un certo senso, credo che sia stata la carriera a scegliermi. E subito dopo la scuola di design, ho inviato curriculum a società di design di questo settore.

Pensa che ci sia un “elemento caratteristico” nei vostri progetti?
È una domanda a cui non riesco mai a rispondere. All’inizio abbiamo realizzato progetti minimalisti perché ci siamo formati negli anni ’80 e i nostri punti di riferimento erano il Bauhaus, John Pawson, David Chipperfield. Ma poi ci siamo resi conto che era come uno stampo a cui adattavamo tutto. E abbiamo deciso che avremmo dovuto sperimentare di più. Abbiamo iniziato a incorporare diverse culture nel nostro lavoro. Ogni volta che realizziamo un progetto, vogliamo andare sul posto ed esplorare l’artigianato locale, il modo in cui la gente vive. E lo ricreiamo attraverso le nostre capacità di progettazione. Credo che la nostra firma sia questa.

Complesso residenziale Thames City a Londra by AB Concept – photo © Brandon Barré

Vi occupate ancora di residenze private?
Sì, certo. Credo che il settore dell’ospitalità e quello residenziale si siano influenzati a vicenda. Con una differenza sostanziale: l’ospitalità è uno strumento commerciale, deve far quadrare il bilancio. Il residenziale, invece, può essere completamente fuori dagli schemi. Finché il proprietario può permetterselo, abbiamo la massima libertà. Credo che per un designer sia importante poter esplorare l’estremo. D’altra parte, i progetti residenziali tendono a richiedere tempi lunghi. All’inizio il proprietario può avere un figlio piccolo e poi la famiglia cresce nel tempo. Quindi si cambia continuamente il progetto, ma questo fa parte del viaggio.

Quali sono le caratteristiche di un buon progetto di ospitalità?
Tanto per cominciare, bisogna avere chiara la visione dell’intero progetto. Siamo fortunati perché siamo i proprietari del nostro studio, quindi possiamo scegliere: prima di tutto, mi deve piacere il marchio, mi deve piacere la location. In questo momento, per esempio, stiamo lavorando a un progetto a Kyoto, vicino al castello di Nijo. Lo adoro. Stiamo anche lavorando al Ritz Carlton di Ürümqi, nello Xinjiang, e sono affascinato dalla cultura del luogo. Un altro progetto in corso è a Hokkaido, in una parte dell’isola ancora poco esplorata. Ogni progetto ha una storia alle spalle. E questo è un aspetto che mi piace. Ed è apprezzato anche dal team: sanno che lavorando con noi vivranno un’esperienza culturale.

Il ristorante Paper Moon al Raffles London at The OWO by AB Concept – photo © Tom Parker
Complesso residenziale Thames City, Londra, by AB Concept – photo © Brandon Barré

Come i teatri, anche gli alberghi hanno uno spazio pubblico e un “dietro le quinte” che forse è ancora più importante. Come riesce a gestire questa dualità?
La fortuna è che un hotel è un progetto collaborativo. Quando si lavora per gruppi come The Four Seasons o Rosewood, questi hanno un team tecnico estremamente forte con il quale comunichiamo a stretto contatto per rendere la sincronizzazione tra  palcoscenico e retroscena il più fluida possibile.

Quali sono i vostri punti di riferimento storici e stilistici?
Sono molto diversi per ogni progetto. A Kyoto, poiché siamo proprio vicino al castello, studiamo come vivevano i nobili. A Hokkaido, dove siamo letteralmente nel mezzo di una foresta, la storia è completamente diversa. Ma lì hanno anche una cultura locale, uno stile, dei modelli. Quindi questa è un’altra cosa. Non voglio incasellarmi in una determinata epoca in termini di movimenti di design.

Complesso residenziale Thames City, Londra, by AB Concept – photo © Brandon Barré

Ho letto sul vostro sito web una definizione molto interessante del vostro modo di lavorare: “Siamo in equilibrio tra architettura, interni e direzione creativa”. Queste aree, soprattutto le ultime due, un po’ si sovrappongono…
L’architettura e la scala dell’edificio sono sicuramente il punto da cui partiamo. Poi viene l’aspetto emotivo. Bisogna combinare le due cose per ottenere un voto A+. E un designer impiega molti anni per trovare quel piccolo tocco. In un ristorante, per esempio, gli elementi portanti sono le dimensioni delle sedie, l’altezza dei tavoli, tutti gli aspetti tecnici. Ma è fondamentale anche il modo in cui si dosa la combinazione di colori, i tessuti, l’illuminazione (tecnica e decorativa), il mix, l’atmosfera, tutto. Siamo allenati a mantenere un buon equilibrio tra il nostro lato razionale e quello creativo.

Ristorante Mei Li, Grand Hyatt Kuwait, by AB Concept

Ultima domanda: da dove viene il nome dello studio?
Quando con Terence abbiamo avviato la società, è stato uno dei primi nomi che il nostro commercialista ci ha proposto – e noi abbiamo pensato: “Ma sì, va bene”. Poi, dopo il COVID, abbiamo capito che il nostro lavoro era incentrato sull’essere: About Being, A & B. Qin realtà il nome non l’abbiamo neanche cercato – è lui che ha trovato noi.