«Per avere successo niente vie di mezzo»

Abbiamo intervistato la guru italiana del design, Rossana Orlandi. Che ci ha fatto un suo bilancio personale della passata edizione del Salone del Mobile (e dell’intero settore) e ha dato un consiglio ai giovani creatori: «Tra arte e funzionalità bisogna saper scegliere». La dote più importante, oggi? «L’umiltà»

Rossana Orlandi portrait - Photo © AnnicaEklund

Di molti personaggi, più o meno noti, spesso si dice che non abbiano certo “bisogno di presentazioni”. Nel caso di Rossana Orlandi, però, è proprio così. Da più di vent’anni – da quando nel 2002 è passata dalla moda al design, diventandone presto una vera guru – Orlandi è una gallerista di riferimento a livello internazionale, cacciatrice di avanguardie e idee, protagonista di un settore che non esita a definire “un mondo meraviglioso”, come ci ripete anche al telefono, alla vigilia della riapertura del suo spazio estivo Rossana Orlandi Summer Gallery di Porto Cervo. 

“Meraviglioso”, in che modo?
Quello del design è un ambiente democratico e popolato di persone vere, con una mentalità aperta, in cui esiste realmente l’amicizia e non c’è l’ansia di rincorrere scadenze folli per presentare nuove collezioni, come nella moda. Nel design, una buona idea può nascere tutti i giorni. 

Le idee presentate all’ultimo Salone del Mobile di Milano come le sono sembrate?
Buone, anche se non ho potuto girare granché perché ero bloccata nel mio spazio (la Rossana Orlandi Master Gallery di via Bandello, ndr). Tuttavia, guardando i report e le foto delle varie esposizioni mi sono resa conto che c’erano in giro dei pezzi meravigliosi e il livello era qualitativamente molto alto.

Tutto promosso, quindi?
No, c’è una cosa che proprio non mi è andata giù. 

Prego.
Che la Biennale di Venezia abbia deciso di inaugurare proprio nei giorni della Milano Design Week. L’ho trovato irrispettoso e anche un segno di debolezza, da parte di Venezia. Tra moda, architettura e design non ci si dovrebbe calpestare i piedi così, è stata una brutta manifestazione all’italiana, anche a livello internazionale. 

Tornando al Salone: sulle esposizioni nulla da eccepire?
Ritengo che al Fuorisalone ci fosse un po’ troppa roba: ormai viene esposto di tutto, anche vere bischerate, e questo è un errore.

E invece il fatto che il Fuorisalone oggi sia molto più “esteso” rispetto a un tempo, proprio come distanza dal centro, le piace?
L’idea è sicuramente buona ma il risultato è spesso dispersivo. Ormai i compratori hanno poco tempo per visitare il Salone – visti anche i costi vergognosi degli alloggi – ed è difficile riuscire a vedere tutto. L’importante però, alla fine, è che ci siano in giro cose belle, mentre vedo troppe robe brutte che ingorgano. Ultimamente, mi sembra poi che il business delle location sia superiore alla qualità. 

Qualche eccezione?
Alcova (progetto curatoriale avviato nel 2018 da Valentina Ciuffi e Joseph Grima, che, con il Fuori Salone, fa riscoprire luoghi abbandonati e quasi sconosciuti della città, ndr) quest’anno era in Brianza, dove ha aperto Villa Bagatti Valsecchi e Villa Borsani: due luoghi meravigliosi che hanno avuto grande successo. 

Lei come e dove scova i designer più interessanti da seguire?
È difficile dire dove, perché oggi con i social tutto è visibile ovunque. Un tempo dovevo armarmi di bagagli e andare fino in Africa per trovare nicchie di artisti sconosciuti, oggi mi basta aprire Instagram per incontrare fior di artisti e/o artigiani molto interessanti. E anche in Italia ce ne sono parecchi in questo momento.

Qualche nome?
Non ne faccio mai.

Guardare Instagram fa parte della sua routine di lavoro quotidiana?
Ogni mattina ci do un’occhiata: è uno strumento che reputo molto interessante e se non posso usarlo un po’ mi manca.

Usa anche TikTok?
I video mi piacciono meno e le stories non le guardo mai. Faccio eccezione per i video degli animali, ce ne sono di stupendi. L’altro giorno ho visto un corvo addomesticato che fraternizzava e giocava con un cane e un gatto, e gliene faceva di tutti i colori. Era delizioso. 

Tornando al design, come reputa la revanche del vintage a cui stiamo assistendo?
È il segno che abbiamo avuto dei grandi maestri che hanno creato cose notevoli e davvero meravigliose e che hanno ancora molto da insegnare.

“Ripeterle” è segno più di riconoscenza o di mancanza di creatività?
Dipende. Ci sono designer che da queste creazioni del passato traggono solo ispirazione, e questa è una cosa naturale; altri, invece, che tendono a replicarle, e questo non funziona. Ricordo che all’inaugurazione del mio studio, nel 2005, venne per la prima volta Gillo Dorfles che commentava tutti i nuovi pezzi esposti, e riusciva a risalire a ogni richiamo, anche solo da come avevano messo le viti!. 

Dei giovani designer di oggi che impressione ha?
Mi preoccupano un po’, perché molti si sentono dei geni e non capiscono che è invece molto importante ascoltare, osservare gli altri e confrontarsi. Io ho sempre pensato che tutti fossero più bravi di me, e ho imparato così. L’arroganza può essere molto rischiosa, perché porta a bruciarsi come dei fuochi di paglia. Adagiarsi sul proprio supposto talento, dopo un po’ non porta più alcun stimolo.  

E del pubblico che cosa pensa? È più o meno maturo rispetto al passato?
Bella domanda. Sicuramente è un pubblico più preparato di una volta, e attento. Ci sono molte persone che nel lusso adorano trovare pezzi in esclusiva, a cui piace proprio la ricerca e la scoperta di qualcosa di nuovo. Allo stesso tempo è un pubblico più esigente, scrupoloso anche rispetto ai nuovi materiali.

Intende anche i nuovi materiali da riciclo?
Sì, ce ne sono di tecnicamente meravigliosi. 

Da alcuni anni il design va molto di “moda”. Pensa che questo lo renda più o meno accessibile al pubblico e/o anche a un giovane, aspirante designer?
I designer devono darci dentro tantissimo, adesso. C’è molto da fare, molta energia da investire, per riuscire a offrire prodotti che vadano oltre l’estetica. 

Per andare oltre l’estetica e avere successo bisogna essere più artistici o funzionali, secondo lei?
Entrambe le cose vanno bene ma l’importante è scegliere: se un designer sceglie l’arte, deve fare qualcosa di veramente artistico, se sceglie la funzionalità deve creare qualcosa di veramente funzionale. Le vie di mezzo convincono poco. 

Galleria Rossana Orlandi – Photo © Marco Menghi