David Giroire, editore di design (ma non solo)

Esperienze importanti nella moda, occhio attento alle evoluzioni del gusto contemporaneo, capacità – e gusto – di saper cambiare rotta: incontro con un outsider appassionato

David Giroire

David Giroire, classe 1980, è un personaggio poliedrico. E animato da una grande energia. Con un passato nella moda, che lo ha portato lavorare sull’immagine Dior Homme con Hedi Slimane come direttore creativo; poi nella comunicazione con una “boutique agency” con clienti (prima moda, poi architettura d’interni e design) accomunati dalla grande ricerca estetica, qualche anno fa ha fondato – insieme all’amico Jérôme BazzocchiThéorème Editions, editore di mobili e oggetti dalla forte personalità. Lo incontriamo in un pomeriggio di sole nei giardini di Palais Royal, a Parigi, davanti al suo showroom-galleria.

Durante la Milano Design Week del 2019 hai lanciato la tua prima collezione di oggetti di design. Ma prima avevi fondato un’agenzia di comunicazione (che hai ancora). Ci racconti il tuo percorso?
Sono un autodidatta, in tutto quello che ho fatto. Arrivato a Parigi a 18 anni, ho iniziato a lavorare in ristoranti prestigiosi ma ci ho messo poco a capire che non era un mestiere per me. Poi ho venduto occhiali da sole in un negozio sugli Champs-Élysées, bijoux alle Halles, scarpe in rue Etienne Marcel. Erano gli anni Duemila, la zona era in pieno fermento: dal negozio è passato Hedi Slimane con la sua équipe, all’epoca direttore creativo di Dior Homme. Ho lavorato come primo commesso nella boutique di Avenue Montaigne, poi Slimane mi ha chiamato nella sue équipe per seguire l’immagine del marchio: sfilate, campagne di pubblicità, celebrity (l’ho fatto per cinque anni). Dopo altre esperienze mi sono messo in proprio. Ero sconosciuto, ho deciso di offrire alla mia rete di contatti una proposta coerente, lavorando con piccoli marchi di nicchia e dall’immagine forte. Così il mio nome è iniziato a diventare, per la stampa, sinonimo di progetti ricercati, di un lusso non convenzionale. E ha funzionato. In quel momento ho deciso di concentrarmi sul mix design/architettura/art de vivre: l’agenzia è cambiata, c’è stata una virata tranquilla ma decisa. Ho raccontato quello che facevo, e cioè far conoscere giovani professionisti, una nouvelle vague di emergenti, al mio amico Jérôme, che viveva a Londra e lavorava nel campo della cosmetica. Ed è nata l’idea di Théorème Editions.

Theoreme Editions, Constantin Benches by Francesco Balzano – Crystal Centerpiece by Garnier et Linker
Theoreme Editions, Fibonacci Table by Adrien Messié – Crystal Centerpieces by Garnier et Linker

Tutto questo in quanto tempo?
L’agenzia è nata nel 2011, il cambio di rotta è avvenuto nel 2018. Théorème è stata lanciata l’anno successivo. Ai progettisti abbiamo dato carta bianca e ci hanno proposto molte idee. Poi con Jérôme abbiamo fatto un giro dell’Europa alla ricerca degli artigiani in grado di realizzarle. È stato fantastico trasformare delle visioni, spesso puramente digitali, in oggetti reali. Dal momento che avevo anche un’agenzia di comunicazione è stato abbastanza facile far conoscere il progetto alle persone giuste. Però ci è voluto un anno perché il pubblico capisse che la marca aveva una sua consistenza. Lì ha iniziato a manifestarsi interesse concreto, gli architetti che conoscevano la nostra produzione hanno iniziato a trovare i progetti giusti in cui coinvolgerci.

Theoreme Editions, Sistema by POOL Studio

Quali sono i criteri che seguite nello scouting di talenti?
All’inizio, su sei designer di cui proponevamo i progetti, di cinque seguivo la comunicazione: era un rapporto diretto. Per la seconda collezione siamo usciti dal nostro circolo per cercare talenti nuovi: sfortunatamente era anche il momento del Covid e viaggiare era molto difficile, quindi anche la seconda collezione è stata 100% francese. In seguito abbiamo sviluppato il nostro primo sistema di sedute, un processo laborioso e di notevole impegno economico, e adesso vorrei mettermi seriamente a pensare alla terza collezione, che vorrei presentare il prossimo gennaio, con un casting questa volta europeo: al momento stiamo lavorando con uno studio tedesco e uno italiano. Penso che sia importante avere una parità uomo/donna e rispecchiare la diversità, argomenti che oggi sono molto attuali. Ma soprattutto il progetto deve essere coerente: non è scontato trovare persone di talento e con una certa sensibilità estetica, attenti alla sostenibilità (altro tema fondamentale). È complicato mettere insieme tutti i pezzi ma per ora ce la stiamo facendo (ride).

In ogni caso lavorare in piccole serie è di per sé sostenibile.
Non solo: noi produciamo su ordinazione. La nostra produzione è all’opposto dell’idea di “usa e getta”.

Theoreme Editions, Maze Mirror by Wendy Andreu
Theoreme Editions, Achille Armchair by POOL Studio

Cosa trovi di eccitante nel tuo lavoro?
Il suo essere una equazione a tre: la creatività dei designer, lo sguardo di Jérôme e mio sui pezzi che vogliamo esplorare, e la relazione con gli artigiani, che normalmente non sono abituati a confrontarsi con progetti come i nostri. Mi piace l’idea di spingerli a superare i loro limiti, le loro tecniche, e mi piace che i designer mi seguano e che siano pronti a uscire dalla loro comfort zone, per esempio confrontandosi con materiali che non hanno mai utilizzato prima.

Storie di successo?
Abbiamo molte persone che ci danno fiducia, a partire dai gruppi LVMH, che ci ha commissionato delle poltrone, e Richemont (per loro abbiamo fatto degli specchi). Quando abbiamo iniziato, l’idea francese di arredamento artigianale era borghese, mobili lucidissimi – forse anche per giustificare il loro prezzo – con i quali non avrei mai voluto vivere. Poi ho imparato a conoscere le scene belga e olandese, dove ci sono tanti designer che fanno cose di buona qualità; alla Milano Design Week, nel 2018, ho visto la prima presentazione di Brut Collective, e ho percepito una coerenza che mi ha colpito. Non esisteva niente del genere in Francia: una proposta più secca, netta, colorata, giocosa. Con un’estetica un po’ più sharp. E abbiamo trovato un nostro pubblico.

Theoreme Editions, Pleat Console by Victoria Wilmotte
Theoreme Editions, Udo Udo Coffee Table by Hall Haus

Obiettivi, sogni?
L’obiettivo principale: uscire con una terza collezione molto, molto bella. La prima è stata velocissima, l’abbiamo fatta in nove mesi. La seconda è stata una sfida. Ma ce l’abbiamo fatta. Per questa terza, una decina di pezzi, vorrei una conferma di quanto abbiamo fatto finora. Sogni? Difficile dirlo. Ho sempre agito in modo spontaneo, intuitivo, acchiappando al volo le opportunità. Senza piani, con molta fortuna. Che è una cosa speciale.

C’è una frase dello scienziato Louis Pasteur che amo: “la fortuna aiuta le menti preparate”.
Su Youtube c’è un professore di una grande école francese che dice: “Ragazzi, negli ultimi due, tre anni abbiamo parlato di management. Quello che ho dimenticato di dirvi è che serve anche fortuna: ecco, nei prossimi cinque minuti vi spiego cosa è. Non è qualcosa che arriva per caso, è una competenza, si sviluppa”. È un po’ il mio video-mantra. Bisogna sempre avere un progetto di partenza ma anche la capacità di cogliere l’occasione, di saper cambiare. Spesso basta parlare con le persone e l’idea ti viene servita su un piatto d’argento.

Theoreme Editions, Chair by Exercice
Theoreme Editions, Jellyfish Lamps by Emmanuelle Simon

Il tuo prossimo progetto?
Man mano che scopro mestieri, mi piacerebbe curare mostre su questo. Intanto mi sono aperto all’arte: in ufficio ho proiettato film di Andy Warhol che non erano mai stati presentati in pubblico, ho ospitato performance musicali; adesso abbiamo lavori di Daniel Buren accanto ai nostri mobili, la nostra seconda collaborazione con la galleria Kamel Mennour. La prima era stata con lavori di François Morellet, che la galleria ci aveva dato in prestito. Li abbiamo venduti, quindi sono stati loro a proporre un secondo episodio, con cose importanti. La prossima ospite sarà la scultrice messicana Alejandra Vialada e poi renderemo omaggio alle Olimpiadi creando un dialogo tra sport e design: con una mostra sul corpo con gli scatti del fotografo Walter Pfeiffer.