Barese di nascita, greco d’origine (da qui il cognome), marchigiano di adozione, Nicola Coropulis – amministratore delegato di Poltrona Frau dal 2019 – da ragazzo sognava un futuro nel giornalismo o nella diplomazia. «L’incontro col design», dice, «è avvenuto per caso, come tutte le cose più importanti della vita. Dopo gli studi in Scienze Politiche sono entrato in contatto con la realtà di Natuzzi e, pur non avendo mai avuto design e mobili nel mio orizzonte mentale, da allora l’arredo è diventato il mio mondo e non ne sono più voluto uscire».
Di questo orizzonte, che cosa l’ha affascinata – e l’affascina – maggiormente?
Il respiro internazionale, la possibilità di fare esperienze nuove e all’avanguardia. Con Natuzzi avevo aperto il primo negozio monomarca in Cina già nel 1999.
Nel 2007 arriva in Poltrona Frau: prima come direttore commerciale, poi general manager, infine come Ad.
Potevo diventare ambasciatore di uno Stato, oggi lo faccio per Poltrona Frau (ride, ndr). Quest’azienda era il mio sogno, perché nel settore è sempre stato un marchio di eccellenza e di riferimento. Quando sono arrivato ho trovato una realtà bellissima, molto innovativa nonostante fosse storica, ma con tantissimo potenziale ancora inesplorato.
Questo potenziale l’anno scorso si è espresso con un +5% nei ricavi rispetto al 2022, che pure era stata un’annata da record. Il segreto?
Negli anni post-Covid, 2021 e 2022 in particolare, tutto il nostro settore ha beneficiato della rinnovata attenzione dei consumatori verso la casa. In tutto il mondo molte persone hanno ripensato criticamente gli arredi della propria abitazione, per ricreare un ambiente gradevole e comodo, ma anche funzionale e ibrido, adatto a qualsiasi esigenza, compresa quella del lavoro. Grazie alla nostra esperienza, abbiamo capitalizzato questa euforia.
E nel 2023, invece?
La bolla del business residenziale si stava già esaurendo nel 2022, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’innalzamento di costi e inflazione. A quel punto, siamo riusciti a compensare i ricavi attraverso il contract, un settore che durante la pandemia era rimasto bloccato, ma che poi ha generato grandi opportunità sia in ambito aeroportuale – insieme a Foster + Partners abbiamo per esempio lanciato il nuovo sistema di sedute per aree di attesa Bay System – sia nell’hospitality, negli auditorium e/o sale conferenze, eccetera. Pensiamo che quest’onda positiva continuerà per tutto il 2024 e oltre, anche se ci preoccupa la crisi in Medio Oriente e le ripercussioni che potrà avere nell’area del Golfo e in Arabia Saudita.
Poltrona Frau da tempo non fa più soltanto poltrone e sedute: avete mai pensato di cambiare nome?
Da 112 anni Poltrona Frau è un marchio forte e solido, che sta vivendo un momento di grande splendore. Certo, è vero che ci stiamo molto espandendo, e oggi produciamo sempre più oggetti e accessori che rappresentano anche estensioni di gamma per arrivare a nuovi clienti, soprattutto giovani. Il fil rouge di questi oggetti è la passione: quella per gli animali (pet furniture), dei giochi (games collection) e del fitness, ma anche della tavola e dei cellulari. Oggetti che magari non costano molto ma consentono di portare Poltrona Frau un po’ in giro.
E di rendere il nome un po’ meno “severo”, o no?
Già al mio ingresso in azienda Poltrona Frau era un nome fantastico e riconoscibile, sia per statura che per unicità, ma forse veniva anche percepito come un po’ polveroso. Io ho provato a (r)innovare il marchio mantenendo un legame con la tradizione e le radici, adottando un linguaggio più contemporaneo, che è poi da sempre la cifra distintiva di Poltrona Frau. Il responso da parte dei clienti è stato ottimo, segno che il modo migliore di conservare la tradizione è innovarla.
In questo filone rientrano anche le collaborazioni più recenti? Penso a designer come Draga&Aurel, Faye Toogood…
Certo, anche se tutte le collaborazioni che impostiamo devono essere coerenti con la nostra storia e andare quindi a stimolare una interpretazione differente di un oggetto della nostra tradizione.
Come la poltrona Vanity Fair rivisitata con le grafiche di Fornasetti?
Il grosso delle nostre collaborazioni viene fatto con oggetti iconici che la gente riconoscerebbe a prescindere, come appunto la poltrona Vanity Fair che ha compiuto 94 anni. Con essa, un maestro del design italiano come Fornasetti ha provato a stabilire un legame ideale, collegando stili e momenti storici differenti che fino a quel momento non si erano mai incontrati. Nella sua vita, Piero Fornasetti non ha mai lavorato con Poltrona Frau: sono contento che siamo riusciti a farlo oggi, per mano di suo figlio Barnaba.
Poltrona Frau è sinonimo soprattutto di qualità dei materiali, che passano in primo luogo dalla pelle. Questa come si concilia con le maggiori istanze di ecosostenibilità richieste dal mercato di oggi?
A me piace dire Poltrona Frau è sostenibile dal 1912, cioè da quando è nata, perché ha sempre pensato a realizzare prodotti che fossero durevoli, per un arco temporale talvolta superiore alla vita stessa dei suoi possessori. Oggi siamo maggiormente attenti a lavorare solo con aziende di concia che sono l’epitome della sostenibilità e, per esempio, due anni fa abbiamo lanciato la Pelle Frau® Impact Less, che ha il minore impatto ambientale possibile, perché non utilizza né cromo né altri materiali pesanti e riutilizza tutta l’acqua nel ciclo produttivo.
Però la pelle è sempre vera, o no?
Sì, ma quella che viene utilizzata nell’arredo e anche nelle calzature altro non è che pelle di scarto dell’industria alimentare. E che, così, non viene buttata nei termovalorizzatori. In più noi finanziamo un progetto di compensazione per la riforestazione e, soprattutto, siamo un’azienda che realizza il 95% dei prodotti in un raggio di 35km al massimo dalla sede a Tolentino (MC). Si parla di un’azienda che ha un impatto logistico limitatissimo, quasi a km 0.