Le interviste di IFDM: Beppe Finessi

L’anno scorso ha curato le mostre contenute all’interno di Euroluce, mettendo in dialogo arte e design. Ricercatore, curatore, architetto, professore: incontro con una figura poliedrica. E infaticabile

Beppe Finessi

La pagina Wikipedia dedicata a te dice che sei “un architetto e ricercatore che svolge attività didattica, critica e di ricerca”. Quale di queste definizioni ti rappresenta di più?
Davvero sono su Wikipedia? Non lo sapevo. Io sono, prima di tutto, un professore universitario. E tutto quello che è in più rispetto a questa attività lo faccio per poter portare ai miei studenti dei contenuti originali, contemporanei, di ricerca. Questo non vuol dire che seguo pubblicazioni, libri o altro perché ho dei ritagli tempo da utilizzare. Ma il cuore del mio lavoro è l’insegnamento. Tutto il resto – la ricerca, l’attività critica – è un modo per continuare a essere informato, per continuare a poter portare ai miei studenti cose originali.

“Fiat Bulb” exhibition, Euroluce 2023 – Photo © Andrea Mariani, courtesy Salone del Mobile.Milano

L’anno scorso hai popolato Euroluce di mostre, anche con pezzi d’arte importanti. Qual è la linea di confine che secondo te separa l’arte dal design?
Un tempo tutto era abbastanza elementare in termini teorici: l’arte doveva farci pensare, provocarci, stupirci. Il design invece doveva assolvere a una funzione. Due discipline diverse, anche se certamente integrate. Ma da Meret Oppenheim in poi (l’artista che nel 1939 ha disegnato il tavolino Traccia, un piano ovale su due gambe da trampoliere, oggi nel catalogo Cassina, ndr) le cose sono diventate un po’ più complesse, il confine ha iniziato a diventare sfuggente e a volte confuso, sono avvenuti tanti cortocircuiti. La storia italiana è fatta di autori che per loro natura sono trasversali, personalità che non possono essere confinate nell’architettura, nella scrittura, nella fotografia: Munari, Balla, Depero, Mendini, Getulio Alviani, Corrado Levi, Ugo La Pietra, Nanda Vigo… Per loro quel confine non esiste. In questi poi le cose si sono ancora più mescolate: penso alle bellissima lampade di Michael Anastassiades, il più grande innovatore di questi anni: se non ci fosse stata la sdoganatura che nel mondo della luce ha portato un artista come Cerith Wyn Evans lui forse non avrebbe potuto farle. Oppure Daniel Rybakken, che arrivò al Salone Satellite portando un pannello bianco con dietro un parallelogramma di Led che evocava l’ingresso della luce da una finestra: un progetto che rimanda all’opera di Olafur Eliasson, Robert Irwin o James Turrell. Per Euroluce siamo partiti dal nuovo layout studiato da Lombardini22, un progetto urbanistico in un certo senso. Ho pensato alle città storiche, piene d’arte, dove a ogni angolo succede qualcosa e ho proposto di fare la stessa cosa, portando in questi padiglioni rinnovati degli accadimenti capaci di rubarci un po’ di attenzione, rendendoli pluridisciplinari, multicentrici. C’erano volutamente più discipline: architettura, arte pura, arte + design, il design più sperimentale, la fotografia di grande livello. Avessimo avuto più tempo ne avrei portate altre ancora: la grafica, l’illustrazione. Discipline che da sempre si ossigenano a vicenda ma che normalmente al Salone non entrano.

La mostra dedicata alla fotografa Hélène Binet, Euroluce 2023 – Photo © Andrea Mariani, courtesy Salone del Mobile.Milano

Tu sei anche un curatore, e hai iniziato a farlo prestissimo.
Essendo vecchio (relativamente: Finessi è nato nel 1966, ndr) ho avuto la fortuna di entrare in contatto con alcuni maestri. Ho iniziato a organizzare occasioni per mostrare il loro lavoro proprio perché mi rendevo conto che – nonostante fossero dei giganti – non erano presi molto in considerazione. Una volta chiesi a Munari perché non veniva mai al Politecnico. “Perché non mi invita nessuno”, rispose. Magari era una battuta, però quando l’ho fatto venire in Aula Magna è stata per una lezione memorabile, con tutti gli studenti che indossavano i suoi “occhiali paraluce” in carta con scritto “Ho visto Bruno Munari al Politecnico”. Vent’anni fa per due anni, praticamente tutti i giorni, sono andato a trovare Angelo Mangiarotti in studio, sognando di poter fare una mostra sul suo lavoro. Che poi è stata fatta, alla Triennale, per i suoi ottant’anni. Quando è mancato Munari, il Salone – che in quegli anni organizzava mostre monografiche – mi ha chiesto, su consiglio di Bruno Danese e Jacqueline Vodoz (i fondatori dell’azienda Danese, ndr), di organizzare una mostra su di lui, perché ci incontravamo ogni domenica a casa sua. Tutta una serie di cose a cascata.

Mostra “Albe”, Euroluce 2023 – Photo © Diego Ravier, courtesy Salone del Mobile.Milano

Com’è nato il tuo interesse per il design?
Da subito. Mio padre aveva una piccola attività, realizzava mobili, gli architetti erano di casa e si parlava di cultura dell’arredamento. Poi, da ragazzino, ho cominciato a conoscere i lavori di alcuni progettisti che vedevo: Salvati e Tresoldi, per esempio. Il primo incontro importante è stato quello con Munari. Poi sono venuti altri maestri: Corrado Levi, con cui mi sono laureato. Poi Italo Lupi: un giorno, dopo la laurea, ho chiamato la redazione di Abitare e ho chiesto di lui, che non conoscevo. Me l’hanno passato, mi ha invitato in redazione. Gli ho strappato la possibilità di scrivere un articolo su Abitare ed è nata così una lunga collaborazione, terminata quando Lupi ha lasciato la direzione della rivista.

Mostra “Interno Notte”, Euroluce 2023 – Photo © Diego Ravier, courtesy Salone del Mobile.Milano

Come si è sviluppata questa collaborazione?
C’è una cosa che ho sempre fatto, fin da ragazzo: raccogliere materiale su tutto quello che mi interessava e ordinarlo in cartelle. Internet ancora non c’era, erano cartelle vere in cui mettevo fotocopie, ritagli di giornale, immagini. Ognuna così diventava una sorta di atlante di un’idea, di un concetto. E cercavo sempre categorie non necessariamente consolidate, punti di vista inediti. A Lupi ho proposto di fare articoli su questi temi, su questi piccoli inventari. Corrado Levi ha deciso che queste cose si sarebbero chiamate Bagatelle, che è rimasto un nome in codice che noi tre usavamo. Con Italo ho cominciato a definire dei fili rossi di ricerca: sono nati così articoli sulle nuvole, oppure sull’ordine e nel tempo ho maturato il pensiero che queste cose potevano anche essere qualcos’altro oltre che una parte del Nautilus, la rubrica che Abitare faceva su carta speciale uso mano, dentro il numero. Quando sono uscito da Abitare mi sono messo a pensare a un oggetto nuovo, nel frattempo organizzavo mostre e altre cose. Poi ho incontrato i Foscarini ed è nato il progetto di Inventario (rivista/libro a periodocità variabile da semestrale a biennale, nata nel 2010, edita da Corraini e sostenuto da Foscarini). Che poi è fatto anche di tante cose che faccio fare ai miei studenti: alcuni degli articoli, già dal primo numero, erano delle tesi di laurea. Articoli sulle altalene, sul vento, sulla pioggia. Quei primi articoli fatti con Italo mi hanno fatto pensare che queste cose potessero avere un loro valore.

La mostra dedicata alla fotografa Hélène Binet, Euroluce 2023 – Photo © Andrea Mariani, courtesy Salone del Mobile.Milano

Quando Inventario ha ricevuto il Compasso d’Oro – poche riviste lo hanno ricevuto – cosa è stato per te?
Ho ricevuto mail, l’ho letta e non riuscivo a collegare le due cose, la rivista e il premio. Poi con Foscarini e Corraini ci siamo telefonati e naturalmente siamo stati molto felici. Eravamo in ottima compagnia: Editoriale Domus, Ottagono, L’Arca con la grafica di Gianfranco Iliprandi. La cosa che mi ha fatto più piacere è che l’abbiamo fatta senza seguire idee di marketing o come piaceva a noi.

Mostra “Albe”, Euroluce 2023 – Photo © Diego Ravier, courtesy Salone del Mobile.Milano

Hai altri progetti a cui tieni particolarmente?
Oddio, sono talmente tanti. Vorrei portare avanti tutte le cose che sto facendo: qualcosa sul mio maestro Corrado Levi, a cui lavoro da tanto tempo, poi tanti altri.