
Dal segnale di STOP all’emoji della risata, i simboli svolgono un ruolo critico e sono sempre presenti nelle nostre vite quotidiane. Ma siamo sicuri di conoscere le storie che si celano dietro i simboli in cui ci imbattiamo ogni giorno? La mostra “Give Me a Sign: The Language of Symbols” (Dammi un segno: il linguaggio dei simboli), inaugurata lo scorso maggio al Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum di NYC fa luce proprio su questo tema.
Un coniglio nero in fuga, un teschio spaventoso con occhi spalancati e ossa incrociate, e un ottagono rosso con otto spigoli vivi che recita STOP al centro in caratteri bianco. Cosa hanno in comune queste immagini grafiche? Sono parte di un sistema di simboli in evoluzione costante che usiamo per comunicare ogni giorno.

I simboli sono fatti di immagini, forme, colori e linee studiati per condividere informazioni. «Come strumenti di comunicazione progettati per infrangere le barriere linguistiche, i simboli rispondono a una serie di esigenze umane sia nella vita quotidiana sia in circostanze straordinarie», ha dichiarato Emily M. Orr, curatrice associata e responsabile ad interim del Product Design and Decorative Arts del Cooper Hewitt. «Un punto culminante della mostra è la storia inedita della realizzazione e dell’impatto del Symbol Sourcebook: An Authoritative Guide to International Graphic Symbols di Henry Dreyfuss, il manuale che definisce la disciplina, che ha elevato l’importanza dei simboli e ne ha ispirato la produzione e l’uso in tutto il mondo fin dalla sua pubblicazione nel 1972».

Il visionario designer americano Henry Dreyfuss ha supervisionato, tra il 1969 al 1972, la realizzazione del Symbol Sourcebook. Il manuale raccoglieva e catalogava migliaia di simboli in uso a livello internazionale. Dreyfuss ha lavorato a stretto contatto con il suo staff e con il pubblico per raccogliere migliaia di simboli. Si trattava di disegni per la segnaletica stradale, per le attrezzature agricole, per le Olimpiadi e altro ancora. Il team si è consultato con molti utenti e designer diversi per creare un sistema visivo comune che potesse essere condiviso in tutto il mondo. Il libro comprende un indice in 18 lingue diverse e simboli per 26 discipline, dall’astronomia e matematica alla musica e alla fotografia. E, nonostante sia stato redatto 50 anni fa, è ancora oggi una risorsa usata dai designer.

I simboli sono in continua evoluzione e tutti hanno il potere di plasmare i simboli e di dare loro un significato. Il Symbol Sourcebook non voleva avere l’ultima parola sui simboli. Infatti, Henry Dreyfuss sperava che il progetto ispirasse altri a esplorare l’importanza di questi strumenti nella nostra vita quotidiana. Un’altra sezione della mostra mette in evidenza come le persone utilizzano le emoji per comunicare chi sono e in cosa credono. Rayouf Alhumedhi, per esempio, aveva 15 anni quando ha proposto l’emoji di una donna che indossa l’hijab, vista dalle spalle in su. Il processo di progettazione e di presentazione delle emoji all’Unicode Consortium, l’ente regolatore globale che si occupa di mantenere gli standard tra i dispositivi digitali – sarà raccontata attraverso la storia di due emoji: la “persona con il velo” e la “coppia interskin”, conservate nella collezione permanente del Cooper Hewitt.


Nello spirito collaborativo del Symbol Sourcebook, che Dreyfuss intendeva ampliare con la creazione di nuovi simboli, i visitatori sono invitati a disegnare simboli e a partecipare ad attività creative in galleria e online per co-creare un Symbol Sourcebook del 2024, , che potranno essere condivisi sui social media e taggando @cooperhewitt con #SymbolSourcebook2024.