Massimo Minini & Formafantasma: dare forma alla memoria

Dall’incontro tra il grande gallerista italiano e il duo di designer è nato un corpus di lavori che ruota intorno all’idea di archivio. Una serie di oggetti in acciaio, cristallo e seta in una mostra pensata per cambiare nel tempo

“Archivio Massimo”, Formafantasma @ Galleria Massimo Minini – Untitled (Bookshelf), 2023 – Photo © Marco Cappelletti
“Archivio Massimo”, Formafantasma @ Galleria Massimo Minini – Untitled (Bookshelf), 2023 – Photo © Marco Cappelletti

Archivio Massimo (Galleria Massimo Minini, Brescia, fino al 26/07) è una mostra che opera a più livelli. Quello formale ci mostra una serie di oggetti – un tavolo, una libreria, un mobile da archivio, dei classificatori – che ritualizzano l’atto del conservare e le azioni a esso collegate: ordinare, proteggere. Questo, indirettamente, porta a riflettere sul valore e sui significati di questi atti. E, alla base di tutto, c’è l’incontro tra un grande gallerista, Massimo Minini, e il duo di designer Formafantasma, che ha fatto dell’indagine concettuale il proprio personalissimo modus operandi.

In primo piano: Untitled (Table), 2023

Tutto è nato da una prima visita in galleria. È stato allora che Andrea Trimarchi e Simone Farresin hanno scoperto l’archivio del gallerista, una raccolta fuori dal comune di lettere, inviti di mostre, manifesti, libri d’artista, ma anche design, tessuti, mobili, fotografia. Minini sente l’esigenza di riorganizzare periodicamente questo materiale. Partendo da questa prima esplorazione, a cui ne sono seguite altre, Formafantasma ha studiato degli oggetti/strumenti pensati per esporre, ordinare, proteggere.

Il tema è quello della memoria. All’acciaio e al cristallo, con cui sono realizzati gli oggetti (tutti in una tiratura di quattro pezzi), viene spesso accostata una seta sui cui è riportata l’immagine di un’orchidea, la Ophrys apifera, che nel tempo ha modellato il suo fiore per attirare a scopo di impollinazione una precisa specie di api. Questa specie in alcuni luoghi dove il fiore è diffuso non esiste più, ma la sua forma non è cambiata: è una memoria diventata tangibile.

I materiali utilizzati sono “freddi” ma creano inaspettati elementi di decorazione: come i piccoli bulloni che diventano pattern a rilievo, simbolo di difesa come se fossero borchie o elementi che consentono una lettura tattile come l’alfabeto Braille. Come l’archivio del gallerista, anche il materiale in mostra viene periodicamente risistemato secondo criteri che cambiano ogni volta.

Veduta dell’allestimento
Untitled (Cabinet 1), 2023

Abbiamo chiesto a Massimo Minini (la cui galleria, insieme a quella della figlia Francesca, ha collaborato con studi e aziende importanti in occasione della Milano Design Week) se c’è un interesse reciproco tra arte e design: «Sono mondi vicini», la sua risposta. «Spesso gli artisti fanno anche i designer o viceversa: Enzo Mari, Bruno Munari. Alberto Garutti si è laureato in Architettura poi ha fatto Brera. Gabriele Basilico, che si era laureato in Architettura, ha esplorato molte altre strade ma era troppo litigioso per arrivare alla fine di un corso. Però un genio. Fausto Melotti era ingegnere. I ruoli sono intercambiabili, sono anche vicini per attitudine, oggetto. Il confine che separa un mondo dall’altro è una linea labile e l’artista la può spostare un po’ in avanti, un po’ indietro a seconda di come la vede lui».

Untitled (Panels with sliding door), 2023

Un confine che lui spiega così: «In senso lato direi che l’arte è l’unica cosa completamente inutile. Il design serve per mangiare meglio, l’architettura per dormire meglio. Oltre a tante altre cose. L’arte è come il gioco, che non serve a niente. Non soddisfa un bisogno misurabile di per sé».

Il progetto con Formafantasma è nato seguendo delle affinità. «Avevo sentito parlare bene di loro, ci siamo incontrati ed è venuta fuori l’idea di fare qualcosa insieme», prosegue Minini. «Siamo nello stesso mondo, era naturale che prima o poi ci incontrassimo. Andrea e Simone sono qualcosa in più che semplici designer, e sono abbastanza intelligenti da far capire cosa sono. Non si sono rinchiusi in un cul de sac, in un recinto. Il loro lavoro spazia a 360°, anche se poi un matematico mi ha fatto notare che se compi una rotazione di 360° fai un giro intero e ritorni alla posizione di partenza, forse bisognerebbe dire 180° – ma sono sottigliezze…»

Per tutte le immagini © Marco Cappelletti courtesy Galleria Massimo Minini