Imperniato intorno alle tre grandi tematiche di ascolto, intuizione e sperimentazione, Park Associati si è imposto tra le più autorevoli e influenti realtà non solo italiane soprattutto nell’ambito della progettazione legata al mondo aziendale, dalla iniziale progettazione delle filiali di Crédit Suisse a Milano, Monaco, Francoforte e Berlino alla successiva realizzazione di headquarter per aziende dell’importanza di Salewa, Luxottica, Nextlé e Accenture. Attivi anche nella rigenerazione urbana e nel variegato mondo degli interni, Park Associati hanno firmato le residenze per studenti del primo lotto di riqualificazione dell’ex area industriale Falck di Milano e si stanno attualmente misurando anche con la scala territoriale, grazie allo sviluppo di masterplan per l’area milanese di Bovisa e per il waterfront di Catania. Filippo Pagliani in particolare dal 1996 affianca all’attività di progettazione quella dell’insegnamento presso il Politecnico di Milano e la Scuola di Ingegneria edile/Architetture.
Salewa Headquarters, Bolzano – Photo © Oskar Da Riz
Architetto, come nasce Park Associati?
Lo studio nasce dalla necessità di Michele Rossi e mia di misurarci direttamente con la professione dopo circa dieci anni di apprendistato in importanti studi di architettura, in Italia e all’estero. Venivamo da esperienze significative, entrambi con Michele De Lucchi qui a Milano e poi io con Renzo Piano a Parigi e Michele Rossi con David Chipperfield a Londra. La nostra avventura è incominciata con una quindicina di anni piuttosto duri, come spesso capita con queste imprese avviate da giovani partendo completamente da zero, proseguita focalizzando una idea di architettura inizialmente legata al singolo progetto e poi divenuta strategica.
Lo stesso nome Park deriva dal fatto che eravamo fuori dai giochi e abbiamo quindi deciso di non dare allo studio i nostri nomi personali. Scelta che poi si è rivelata vincente, dato che crediamo fortemente nella validità e nel potenziale del lavoro di squadra. All’inizio eravamo solo noi 2, oggi siamo 85. Man mano che lo studio cresceva, abbiamo potuto individuare un filo conduttore, una filosofia del progetto che nel tempo è diventata il modello strategico oggi applicato a tutto il nostro lavoro.
Salewa Headquarters, Bolzano – Photo © Oskar Da Riz
Che cosa intendete per ‘modello strategico’?
Fondamentalmente costruire un progetto non solo partendo da noi ma coordinando le molte ‘teste’ coinvolte, valorizzando un progetto collettivo e riuscendo quindi a mettere insieme una squadra che dà a tutti la possibilità di esprimersi nel migliore dei modi. Credo che sempre più ci si stia allontanando dalla visione personalistica della progettazione, in cui un singolo architetto decide tutto, valorizzando piuttosto la capacità dei singoli di fondere e selezionare le proprie idee in un progetto unitario.
Luxottica Digital Factory, Milan – Photo © Andrea Martiradonna
Luxottica Digital Factory, Milan – Photo © Andrea Martiradonna
Nel nostro caso, un progetto è la sintesi molto approfondita di numerosi tentativi su forme, materiali, tipologie, tanto che abbiamo nel tempo sentito l’esigenza di dare vita a Park Plus, cellula di ricerca interna a Park Associati. Park Plus si concentra su forme, materiali, sistemi strutturali. È nato così ad esempio il volume Inlegno. Cambiare prospettiva per costruire il futuro, realizzato in collaborazione con lo studio di ingegneria tedesco Bollinger + Grohmann e pubblicato lo scorso anno da Letteraventidue. Si tratta dell’esito di una ricerca durata quasi due anni in cui abbiamo approfondito potenzialità e vantaggi tecnici e costruttivi di questo materiale confrontando un nostro progetto realizzato con tecniche tradizionali con una ipotetica ri-costruzione in legno. È quindi stato un modo per conoscerlo e utilizzarlo meglio. La ricerca secondo noi è un modo di acquisire una sicurezza intellettuale, scientifica e costruttiva capace di aprire nuovi ventagli di possibilità. Naturalmente quando si parla di modello strategico è fondamentale anche l’aspetto gestionale. Park è infatti diventato una specie di azienda, strutturata per rispondere nel modo più efficiente possibile a progetti, costi, tempistiche.
Quali sono i cardini del vostro lavoro?
Ci poniamo in una posizione di ascolto nei confronti del cliente, approccio che non a caso appartiene ai tre concetti con cui più ci piace definire la nostra attività: ascolto, intuizione e sperimentazione, che secondo noi esprimono perfettamente il nostro DNA. L’ascolto si rivolge ovviamente anche al luogo e al contesto, mentre l’intuizione è quella scintilla che rende ogni progetto diverso e innovativo. Siamo del resto vitruvianamente convinti che il progetto architettonico nasca da due elementi, cliente e progettista, come risposta a esigenze e richieste specifiche, meglio se complesse. Abbiamo capito che per essere contemporanei e sempre aggiornati sui molteplici aspetti della progettazione è necessario essere profondi e curiosi.
Accenture People Hub, Assago, Milan – Photo © Andrea Martiradonna
Accenture People Hub, Assago, Milan – Photo © Andrea Martiradonna
Il focus del vostro lavoro si impernia sulle aziende. Come vi relazionate con il tema dell’identità aziendale?
Si tratta di un caso, inizialmente non cercato, che ci ha offerto occasioni importanti, come l’incarico per l’headquarter Salewa di Bolzano, progettato nel 2011 insieme allo studio CZA, in cui abbiamo potuto realizzare un ‘abito ad hoc’. Un progetto che rimane tuttora una delle dimostrazioni più significative della nostra capacità di interpretare le esigenze del cliente, un caso che sarebbe interessante studiare a livello di comunicazione, dato che è l’inverso di ciò che in genere succede. L’azienda si è infatti talmente riconosciuta nel nostro progetto da avere sentito la necessità di modificare il proprio logo, un’aquila disegnata negli anni Trenta, in un simbolo molto più stilizzato che riprende esattamente le forme del nostro progetto. Da questa esperienza così ricca, interessante e formativa sono nate tante altre occasioni, come la collaborazione con Luxottica.
Come sta cambiando il mondo dell’ufficio, anche in seguito alla pandemia?
Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito in questo settore a evoluzioni importanti, triplicate in velocità dal Covid-19, tanto che oggi ci troviamo ad applicare processi che 15 anni fa pensavamo sarebbero stati molto più lenti. La pandemia è stata quindi una specie di potentissimo acceleratore. Ad esempio, molti uffici dispongono ormai di spazi esterni che fanno uscire il fruitore dalle mura del ‘contenitore’ tradizionale, così come gli spazi collettivi e conviviali sono sempre più apprezzati.
Open 336, Milan
Open 336, Milan
La mobilità ha poi offerto la possibilità di essere molto più agili e non avere postazioni fisse, orientamento questo ormai ineludibile. Nel suo essere planetario e paradossalmente ‘democratico’, il Covid-19 ha condotto nella stessa direzione un mondo già globale, senza eccezioni. Prima c’erano regionalismi più accentuati, con luoghi in cui si tentava (come la Silicon Valley) di accelerare questi processi, poi divenuti omogenei e orizzontali.
Qualche esempio particolarmente significativo del vostro lavoro in questo ambito?
I nostri progetti degli ultimi tre anni incarnano secondo me molto bene queste dinamiche, ad esempio tutto il nostro recente lavoro per Luxottica. A ben vedere però è iniziato comunque tutto con la sede aziendale Salewa di Bolzano, in cui già affrontavamo il grande tema della sostenibilità quando ancora non si trattava di un’impostazione legislativa. Si tratta infatti di un edificio che rispetta ante litteram i requisiti ESG, tanto da avere vinto il primo premio Casaclima Work&Life grazie all’attenzione non solo per l’efficienza energetica, ma anche per la vivibilità degli spazi e il benessere dei fruitori, favorita peraltro dall’interazione tra spazi interni ed esterni. Attualmente i nostri progetti sono tutti solidamente ancorati a questo duplice approccio alla sostenibilità. Oggi sono stato in viale Sarca, qui a Milano, per un progetto che termineremo entro l’anno: Open 336, in cui abbiamo usato un cemento rosso che segnerà un po’ una rottura con quanto abbiamo proposto finora nel mondo dell’ufficio. Si tratta di un progetto molto interessante perché siamo riusciti a creare una pianta completamente libera, che il tenant potrà organizzare a seconda delle sue esigenze. Anche esteriormente è un progetto che va a indagare forme e materiali per certi versi più domestici, seguendo un orientamento che sta diventando sempre più marcato nel mondo dell’ufficio. I due headquarter milanesi di Luxottica, la Digital Factory di via Tortona e Palazzo Litta in Piazzale Cadorna, sempre qui a Milano, sono anch’essi progetti che guardano molto avanti, rendendo possibili modalità molto efficaci di interazione tra chi ci lavora.