Le interviste di IFDM: Valentina Ciuffi

Incontro con una tra i personaggi che hanno creato Alcova: piattaforma nomade di creatività e di sperimentazione, appuntamento tra i più seguiti dagli addetti ai lavori di tutto il Fuorisalone

Valentina Ciuffi - Photo © Elisabetta Claudio
Valentina Ciuffi - Photo © Elisabetta Claudio

Il Fuorisalone, tra nuove collezioni di brand noti e progetti di designer affermati, è anche l’occasione per conoscere il lavoro dei designer contemporanei emergenti. Valentina Ciuffi è la fondatrice, insieme a Joseph Grima, di Alcova, mostra che incarna una delle anime più sperimentali della settimana del design. Con lei parliamo di tendenze della creatività contemporanea, ma anche della modalità e dei contesti in cui il lavoro del designer deve essere presentato al pubblico.

Alcova è un evento che — come il nome stesso suggerisce — presta grande importanza al contesto fisico in cui si svolge. Per la seconda volta siete all’ex Ospedale Militare di Baggio. Tenendo presente i punti di forza ma anche le difficoltà di un contesto architettonico così connotato, quest’anno vi sentite in un certo senso più “a casa”?
Io e Joseph cerchiamo costantemente di mappare la città personalmente: prendiamo la macchina e ci mettiamo alla ricerca di luoghi nascosti. Questo è nel DNA di Alcova. Così era nata l’esperienza dell’ex fabbrica di panettoni Cova a Nolo, quartiere dove abbiamo ancora il nostro studio. L’idea però è di non rimanere nello stesso luogo per più di 2 anni, perché il potenziale di uno spazio lo scopri con un po’ di tempo davanti: il secondo anno dunque, c’è sempre un miglioramento.

Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

Perché vi siete fermati qui?
Dopo l’esperienza degli ex panettonifici (che poi sono stati venduti) abbiamo voluto esplorare spazi inalienabili: Baggio ad esempio, un luogo che Milano non conosce. Nell’immaginario comune, tutti gli uomini di una certa età ci hanno passato i tre giorni dedicati alle visite per il servizio di leva; ma quasi nessuno a Milano è stato in questa parte dell’ospedale, che è un bosco urbano animato da fagiani, una colonia di gatti, tanti scoiattoli, cedri di altezze mai viste a Milano. La bellezza delle mostre che facciamo è unire al design la scoperta dei luoghi, e di questo posto ci piaceva come la natura si appropriasse degli edifici. Alcova è fatta di spazi piccioli, architettonicamente eterogenei per adattarsi ai diversi espositori. Qui c’è tutto: una casetta stile liberty, una lavanderia più industriale, e il centro per la disinfezione, che noi chiamiamo “tempio”.

Tempio, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Piercarlo Quecchia
Tempio, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Piercarlo Quecchia

Ci sarà qualche novità in merito agli spazi?
Quest’anno la sorpresa è uno spazio nuovo che abbiamo chiamato E-space per la sua forma a E rovesciata: un complesso grande come tre edifici messi assieme, che ha come particolarità tre sottotetti a prova di bomba (trattandosi di luogo militare). Da Google Maps si vedono le croci sui tetti che durante la guerra pregavano di non bombardare. Sopra i tre bracci ci sono tre lunghi, spettacolari strutture in cemento armato che rimandano un po’ al lavoro di Nervi. Sotto, due piani che sembrano una scuola; tutto diversissimo dagli altri tre edifici. Tornando al “tempio”, qui c’è la food court di Alcova, creata in collaborazione con il marchio di luci canadese Lambert & Fils insieme a Café Populaire: una”scatola” dove le anime sono Tuorlo e Alessandro Longhin (Botanical Club), che al di la della bontà del cibo portano il concetto di sostenibilità e di cultura dietro al progetto food. Qui per esempio lavoreranno persone provenienti dall’Ucraina. Tra i diversi upgrade di questa edizone c’è poi l’Off-Cut bar: una delle mostre più muscolari è al piano terra della lavanderia, dove insieme a Solid Nature (brand che lavora con la pietra a progetti monumentali), con gli “off-cuts”, ovvero gli scarti del marmo, abbiamo costruito un bar dedicato ai meeting con i nostri clienti, ma anche ai talk e alla conferenza stampa: in un evento che nasce per dare spazio agli indipendenti, esteticamente forte, fornire più spazi per i clienti, e in cui la gente voglia rimanere a lungo è importante.

Lavanderia, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Lavanderia, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

Un ampliamento che coincide con un aumento degli espositori? A questo proposito, ci racconti in che modo avviene la vostra selezione?
Ci sono due reti che si incrociano: il mio mondo, legato alle gallerie di collectible design — lavoro per la galleria Nilufar, con la fiera Nomad e con il mio studio Vedèt mi occupo di brand identity per piccole aziende. Joseph invece è più legato alle realtà museali, e in quanto direttore di Eindhoven, alle scuole. Alcova nasce dalle nostre due reti. Dal primo anno, in cui avevamo 35 espositori (oggi sono 80), è stato un passaparola tra le persone che conosciamo, che tendenzialmente portano a progetti che arrivano già filtrati. Non ci interessa una open call per dovere poi negare spazio a tante persone; ci piace la modalità della rete, che si è ovviamente allargata. Poi, molte più persone autonomamente si sono proposte dopo averci conosciuti alle edizioni precedenti. Siamo contro la realtà del distretto per quartiere: per noi è importante creare destinations e non quartieri, non lo troviamo produttivo. Se non avessimo scoperto gli spazi del sottotetto, avremmo probabilmente lasciato tutto com’era perché eravamo già molto contenti di avere fornito più servizi agli espositori nei tre edifici. Poi, la concomitanza di nuove richieste, e la scoperta di questo luogo così diverso, ci ha spinto ad aprirli.

Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

Che tipo di direzioni si individuano nei progetti dei designer che segui, anche alla luce del fatto che affiancherete brand affermati a realtà emergenti?
Quando lavoriamo con grandi brand — quasi sempre sono loro a sceglierci — li sproniamo a spingere le realtà indipendenti, affiancandoli a designer che ne sovvertano l’estetica o che la interpretino: ne sono un esempio Laila Gohar con Ciam (azienda di frigoriferi), completamente ribaltata. Alcova non è curata, la selezione di filtri naturali lo rende nostro. Sto curando nell’ambito del protetto FAR per Nilufar (dove FAR sta proprio a significare “lontano” dalla galleria) la mostra Craftmania: un percorso all’interno del cosiddetto “non functional design”, chiamato anche “functional art”, che quest’anno è proprio sulla materia. Nei tre percorsi nell’artigianato in mostra si va molto al di la del classico storytelling sul recuperare le tecniche artigiane o rivolgerci alla tradizione; questo perché la cosa più interessante che sta succedendo, e che è visibile ad Alcova è che il rivolgerci al passato non è passivo. C’è disponibilità di artigiani in tutta Europa, ma pensiamo anche alla Brianza, dove tante aziende del design si sono trovate con mancanza di lavoro quando Cina e altri paesi sono diventati grandi produttori. Questi laboratori si sono improvvisamente trovati più a disposizione del designer, che ci è entrato; è interessante il momento in cui il progettista ha iniziato a sfidare il modo di fare dell’artigiano.

Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

Ho appena riletto un grande classico, L’uomo artigiano di Richard Sennett: la realtà è che nella bottega artigiana il sapere si è trasmesso sempre per imitazione, con una ripetizione che certamente porta a cose bellissime, ma che ha bisogno di essere un po’ sfidata. I giovani designer sono grandi intrugliatori: mischiano, vanno dall’artigiano prendendone dei pezzi, li ribaltano, si fanno seguire, ma dove l’artigiano non li segue, tornano nel proprio studio e continuano da sé. Ne è un esempio Etienne Marc (Nilufar), che attinge dal grotto veneziano al barocco, stili consolidati da un artigianato stanco, sovvertendoli; a Siviglia ci sono antichi colonnati di ceramica svuotata riempiti con materiali antichi: lui li riempie con i poliuretani reinventandoli. Sempre nella mostra gli Odd Matter che con i fintomarmisti di Rima spingono quest’arte verso disegni sempre più psichedelici, che in qualche modo conservano la loro origine. Tra i loro nuovi progetti quello con fiberglass e gesso partendo dal gesso ortopedico, misto ad altri materiali, che copia i fintomarmisti. Ecco un altro filone del design: alcuni non sviluppano oggetti, ma sviluppano materiali! Si tratta di un mondo che ad Alcova è presente, così come nella mia ricerca e ad Eindhoven: un contribuire del designer nel sovvertire ciò che avviene nell’artigianato. Un fenomeno interessante dal punto di vista estetico ma anche sociologico.

Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

ll non essere funzionale a tutti i costi di un oggetto, è un’idea che conquista un’espressione sempre più forte?
Il grande Enzo Mari non amava il design che produce cose che non servono. Però qui sta avvenendo qualcosa di diverso: sicuramente è una fase ma si stanno provando altri modi di lavorare materiali che esistevano, non si creano forme a caso. Abbiamo bisogno, per apertura mentale, di vedere cose fatte non tutte allo stesso modo. La testa dell’essere umano deve essere nutrita di cose nuove: Ad Alcova come da Nilufar ci sono cose molto estetiche, ma anche prodotto. È una forma di ricerca, in più si scoprono nuovi potenziali materiali. Con Trame, piccola azienda per cui lavoro nella direzione “artigianato da sovvertire”, portiamo le stampe 3d in Marocco.

Tempio, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Alessandro Saletta
Tempio, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Alessandro Saletta

Hai citato Mari, e in effetti ogni anno la design week tende a riscoprire un progettista del ‘900. Chi ti piacerebbe ricomparisse?
A proposito di Mari: per l’ingresso di Alcova, i ragazzi del nostro studio stanno rifacendo i tavoli della sua famosa serie autoproduzione! Mari ci ha dato tanto ed è un ottimo punto di partenza. E poi Carlo Mollino, Franco Albini, i BBPR, Lina Bo Bardi, a Frattini, Osvaldo Borsani. Difficile dire cosa di quegli anni non mi sia piaciuto. Quello che ne è emerso mi affascina moltissimo.

Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 - Photo © Delfino Sisto Legnani
Casa delle Suore, Alcova, Milan, 2022 – Photo © Delfino Sisto Legnani

Bolognese, sei ormai di casa a Milano. Come ti sei avvicinata a questa città e poi al mondo del design capendo che sarebbero diventati parte della tua storia?
Sono una semiologa, ho fatto l’università di Umberto Eco appassionandomi durante il percorso alla semiotica di Architettura, in cui mi sono laureata. Il mio approccio dunque non è da progettista. Dopo un periodo torinese nelle gallerie, nel 2007, a Milano, Boeri prendeva la direzione di Abitare con una formula nuova che durò qualche anno, coinvolgendo scrittori e persone vicine alla scrittura. Io ero molto giovane, entrai per lavorare sul sito, muovendo i primi passi; ma avevo proprio quel background. In quegli anni ho conosciuto una serie di persone tra cui Joseph, Giovanna Silva fotografa ed editrice di libri sulla fotografia di architettura… una Milano interessante, un bel gruppo, con un approccio nuovo allo scrivere di architettura. Ad Abitare sono rimasta per dieci anni, e attraverso il mondo della narrazione ho conosciuto tante persone. Poi però sono tornata alla semiotica con Alcova, con Studio Vedèt, allo storytelling legato alle direzioni da suggerire a chi apre una nuova azienda e si immette nel mondo del design. Ma sono molto affezionata al mondo della carta stampata: ad Alcova, quattro stanze sono dedicate alla fiera indipendente di libri d’arte di Basilea I Never read.