Dubai Design Week: partenza molto positiva

Fin dalle prime ore del mattino, cosa insolita per le abitudini locali, di martedì 24 ottobre si è percepito immediatamente che la Design Week di Dubai partiva con il piede sull’acceleratore.
Nelle strade disegnate tra i building del Dubai Design District (D3) un gran numero di visitatori entrava e usciva dagli spazi occupati dai protagonisti della manifestazione.

Partita nel 2013 per il volere del primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, la DBX è gradualmente cresciuta guadagnando, anno dopo anno, una credibilità che molti operatori del settore (aziende, investitori e progettisti) all’inizio stentavano ad attribuirle.
Una diffidenza probabilmente lecita: la DBX è un evento costruito a Dubai, città considerata la quint’essenza dell’artificialità.

Una curva lenta, ma ascendente e costante, ha accompagnato la DBX in questi anni, fino ad arrivare al picco di questa edizione 2016: un apice generato da un concorso di strategie vincenti e risultati concreti.
Innanzitutto, l’importante sviluppo del D3, primo partner e motore dell’evento, che ha visto i suoi spazi (sia fissi che temporanei) via via più richiesti, fautore di nuove e importanti partnership tanto culturali (il DIDI, Dubai Institute of Design and Innovation su tutte) quanto commerciali. La vivacità del D3 è stata ed è una molla per attirare operatori del settore, investitori, studenti, semplici visitatori interessati.

Per valutare correttamente la DBX occorre considerare il contesto nel quale si sviluppa: Dubai e in generale i Paesi del Middle East (o meglio del MENASA, recente evoluzione dell’acronimo MENA – Medio Oriente Nord Africa a cui è stata aggiunto il Sud dell’Asia) non hanno mai avuto un evento aggregatore a 360° come questo; per storia e cultura sono (erano?) molto distanti dalle frenetiche design week di Milano e New York, per citare le principali.
Ma il cambiamento è sempre alle porte, la voglia di scenari diversi, la curiosità culturale (e anche commerciale) e – aspetto non trascurabile – la disponibilità economica, hanno fatto sì che anche la città artificiale mettesse più di un mattone di concretezza nel palmarès della propria offerta. Una sostanza non casuale, ma figlia della declinazione di un progetto che probabilmente ha Dubai 2020 non come unico obiettivo, ma come primo importante traguardo di una corsa a tappe e che vedrà nel futuro prossimo l’apertura degli studi di 4 firme mondiali dell’architettura: Santiago Calatrava, Zaha Hadid Architects, Foster + Partners e Benoy.

I margini di crescita della DBX sono quindi ancora molto ampi. A differenza delle corrispettive del globo, la manifestazione di Dubai non registra un particolare coinvolgimento del trade nei vari distretti della città: sebbene i più importanti rivenditori (Obegi, Aati e Interiors su tutti) siano espositori a Downtown Design, manca ancora quel file rouge commerciale e glamour che invece anima Milano, New York, Miami, Londra e Singapore quando per una settimana all’anno design è la parola d’ordine. Ma il sistema distributivo dell’area vive di regole proprie e di ritmi commerciali singolari.
La DBX 2016 ha mandato in tutte le direzioni un forte e chiaro segnale di forza: come i nuovi canali di Dubai, molto presto unirà la città in un percorso nuovo e navigabile, per tutti.