Per Niccolò Biddau l’atto di guardare è un’investigazione dell’essenza delle cose. Nato a Torino nel 1966, la passione per la fotografia la eredita da suo padre. Così, dopo la il liceo classico e la laurea in Scienze Politiche, decide di farla diventare la sua professione. E dal 1998 inizia a focalizzare la sua ricerca sui paesaggi urbani, la scultura e la fotografia d’interni. Utilizzando sempre di più il bianco e nero.
Nel 2002 inizia a mettere al centro del suo lavoro i cicli produttivi delle aziende italiane: un mondo che esplora con impegno enciclopedico (a oggi ne ha ritratte circa 600, di tutti i settori). Ha iniziato a pubblicare libri e ha fondato quindici anni fa la sua personale casa editrice, Photo Publisher, con un catalogo di una ventina di titoli monografici: «Per avere autonomia», spiega. Le immagini di queste pagine sono tratte da un suo ampio progetto diventato poi un volume (Design Made in Italy, Photo Publisher, 2022) legato al design, che attraversa molte delle eccellenze produttive del nostro Paese: moda, food, automotive. E naturalmente il mondo del mobile.
Come è nato questo progetto?
Gli inizi in realtà sono lontani. Nel 1999 mi sono reso conto, fotografando le città, di quanto la gente avesse dimenticato la presenza dell’industria nel panorama urbano, oggi sostituita da altro. E mi è venuto il desiderio di raccontarla in un libro, che insieme alla fotografia ha il potere straordinario di raccontare storie che restano. Ho parlato di questo progetto in Confindustria Torino e in Assolombarda e le aziende mi hanno aperto le porte. Non ho mai chiesto niente, e viceversa; piuttosto, ho scelto di lavorare su riflessioni condivise con loro.
In occasione di una presentazione sulla trasformazione urbanistica della periferia di Milano, mi è stato suggerito di fare un focus sul design. Visto il mio interesse per il “dietro le quinte” della produzione mi è sembrata subito una buona idea. Poi è arrivato il Covid ma ho portato l’idea avanti. A un certo punto, aprile 2021, parto: non poteva essere periodo peggiore. Non si sapeva se c’era il Salone, le aziende erano in fibrillazione, è stata una corsa contro il tempo. E al momento di andare in stampa il prezzo della carta era andato alla stelle. Però è nata una prima edizione che ha permesso di delineare un percorso, di evidenziare come il design plasmi tutti i settori della nostra vita. È un’indagine su forma e materia, ma anche uno studio sulla progettualità, sulle peculiarità dei brand. È stato il fil rouge che ha accompagnato il progetto.
Alcune di queste foto sono totalmente astratte.
La più astratta di tutte è il profilo delle fasce perimetrali dei letti Flou. Rosario Messina, che era ancora vivo, la comprese a fondo. L’immagine non ci comunica niente di immediatamente riconoscibile ma notiamo la perfezione di ogni dettaglio: ingegneria e design. Lo scatto è nato osservando una composizione assolutamente casuale di queste fasce, appoggiate in un magazzino materiali. In una foto deve esserci emozione e informazione. Trovo che queste immagini siano silenziose, ma ci si può immaginare il rumore dello stabilimento che quasi sempre c’è intorno. È la mission del fotografo: mantenere la concentrazione anche in ambienti complessi, continuare a osservare, a captare.
Poi c’è quella, bellissima, delle poltrone Up di B&B Italia.
Il focus in questo era di focalizzare l’attenzione sul poliuretano espanso, la materia che è stata la grande innovazione introdotta da Busnelli nel settore. Quando vai per sottrazione arrivi all’essenza. Alla fine qui è la moltitudine che compone un’immagine unica. E il bianconero aiuta a enfatizzare certe situazioni, crea qualcosa di magico. Meno il fotografo cerca di dare un commento critico, meglio è. Quando mi avvicino a un oggetto di design lo faccio con una conoscenza di base, ma non voglio mai andare oltre per non farmi condizionare. Qui parla la potenza della materia.
Da cosa nasce questa visione quasi filosofica della fotografia?
Sono stato molto fortunato perché fin da piccolo i miei genitori mi hanno portato a scoprire il bello, in Italia e all’estero. Mia madre mi diceva: “Da piccolo non parlavi mai: osservavi”. La fotografia era poi la grande passione di mio padre, ho studiato molto le sue fotografie degli ’50 e ’60. Ho cercato di captare, forse in modo involontario, questo stimolo all’osservazione. Il viaggio, il paesaggio: elementi che immagazzini e a un certo punto li ributti fuori. Ho iniziato a studiare fotografia già al liceo, e dopo la maturità ho preso un biglietto per Singapore, Malesia e Indonesia, e sono scomparso per tre mesi. È allora che ho scattato i miei primi reportage. Nel tempo mi sono reso conto che i punti focali del mio interesse erano architettura, urbanistica e industria. Così mi sono specializzato, affinando il linguaggio. E sono andato avanti, con passione.
Photo © Niccolò Biddau