Per il nuovo spazio Porro a Milano l’anteprima era stata durante la scorsa Milano Design Week, quando era ancora in piena ristrutturazione ed era stato vestito di colori. Oggi, a cantiere chiuso, lo spazio ha acquisito una sua fisionomia precisa. Un contenitore dalle tinte ultrachiare, con un doppio affaccio sulla città: alle vetrine/vetrate su via Visconti di Modrone, alte sei metri, corrispondono le finestre razionaliste, di misura più domestica, che danno sulla parallela via Ronchetti.
Lo visitiamo insieme a Maria Porro, direttrice marketing e comunicazione dell’azienda di famiglia, e Piero Lissoni, che ne è l’art director e che ha firmato il progetto di questo nuovo showroom.
«Abbiamo voluto creare una scatola scultorea, lavorare di sottrazione, essenzialità, equilibrio degli spazi», spiega Maria Porro. «Non è un approccio commerciale, ma progettuale. Per noi è importante. Di questo luogo ci è subito piaciuta la doppia altezza, che a Milano è rara. E al piano superiore le finestre restituiscono una dimensione da villa, con uno scorcio sulla Milano più nascosta, intima. Qui gli arredi entrano come presenze architettoniche che definiscono gli spazi, quasi delle presenze d’arte».
Lo showroom non contiene solo mobili. «Abbiamo attivato delle collaborazioni: con l’editore Corraini che riedita il lavoro di Bruno Munari (per me un pezzo di storia: fu proprio Munari a disegnare con mio nonno il logo dell’azienda). E poi con la galleria di disegni di architettura Antonia Jannone, con Michela Cattai, che disegna vasi in vetro, con una sartoria teatrale che ci ha prestato abiti di scena, con Francesco Balestrazzi – un amico – che realizza cappelli-scultura. A chiudere la storia c’è l’Archivio Mendini, con cui abbiamo rapporto sia di lavoro, ci hanno prestato pezzi dalla loro collezione privata. E poi c’è una selezione di titoli Taschen, tutti in vendita, curata per noi dallo Studio Ossino».
«La cosa che ci ha affascinato di questo luogo è stata la presenza di questi televisori su via Visconti di Modrone», spiega Piero Lissoni. «Erano nascosti da travi, soppalchi, una cosa orrenda. Sei gigantesche aperture su strada, e sul retro un appartamento con i suoi serramenti Bauhaus. Mi sono detto “è la nuova casa di Porro”. Abbiamo dovuto ricollegare tre spazi distinti, è stato un po’ faticoso ma credo che sia uscito un bel luogo, che dialoga tantissimo con l’esterno, quasi più una galleria che non un negozio».
Lissoni è anche già proiettato nel futuro: «Per l’apertura abbiamo scelto di non essere troppo radicali ma nel prossimo futuro accadranno delle scelleratezze come di tanto in tanto faccio. Mi piacerebbe lavorare sulla scala dell’installazione, per esempio sei tavoli tutti uguali ma di colori diversi. Ragionare con un occhio meno classico. Lo spazio c’è. L’ho pulito, ho tolto tutto quello che non serviva, e ho aggiunto solamente elementi tecnici. Una macchina scenica. Mi piace la scala che unisce i livelli, un origami di metallo. Il linguaggio della tecnologia mi ha aiutato a ragionare sul linguaggio architettonico. Quasi come si avessimo fatto un piccolo museo».
Sul perché di questo cambiamento parla di nuovo Maria Porro. «Il coraggio di lasciare via Durini, dove siamo stati diciotto anni, ce lo ha dato questo spazio, di cui ci siamo innamorati: alla fine siamo sentimentali. Qui abbiamo subito capito che potevamo mettere a terra un progetto nuovo in grado di creare valore aggiunto per l’azienda. Ci siamo portati il lampadario che Piero aveva disegnato per l’inaugurazione di via Durini, un pezzo unico che abbiamo sempre conservato. È come un passaggio di testimone. Non un cambio, un’evoluzione. E cambierà spesso, perché vogliamo che sia anche uno spazio di sperimentazione. Avevamo bisogno di confrontarci con qualcos’altro».
Uno spazio da vivere in molti modi. «Amo il piano di sopra», prosegue. «Ha anche un suo accesso da via Ronchetti, pedonale, milanese, intima. La faremo vivere. Qui abbiamo già fatto delle cene, è uno spazio dove ti siedi e stai bene. Da questo livello si vede una magnolia, l’edera che ricade. Il coraggio di cambiare ce l’ha dato anche questo affaccio sul verde. Mentre dall’altra parte c’è la città che corre».