L’archimanager ideal(e)

Compie 4 anni la collaborazione di Roberto Palomba in qualità di Chief Design Officer di Ideal Standard. IFDM lo ha incontrato allo stand della multinazionale durante il Salone 2022 e lui ha tracciato con precisione architettonica e mentalità manageriale tappe e motivazioni di un percorso assai positivo

Ipalyss by Ideal Standard, design Robin Levien
Ipalyss by Ideal Standard, design Robin Levien

So che non ami bilanci e consuntivi, ma quattro anni come Chief Design Officer di Ideal Standard come li riassumi?
Sono contento di questi quattro anni e se devo sintetizzare con un’espressione il mio pensiero dico «evviva, ce l’ho fatta!»: la sfida partita nel 2018 era riportare in superficie la consapevolezza che l’azienda ha un valore nel mondo del design e dell’architettura, penso di esserci riuscito e naturalmente non da solo. Mi sento una rotella di un meccanismo – magari quella che fa partire il movimento, ma pur sempre una rotella. Ideal Standard mi ha permesso di “fare” e insieme al team dell’azienda siamo riusciti a dare un’anima emozionale oltre che a valorizzare il servizio e lavorare sui prodotti.

Solos by Ideal Standard (Atelier Collections), design Roberto Palomba
Roberto Palomba, Photo © Carlo William Rossi, Fabio Mureddu

Sono stati operati dei cambiamenti importanti?
Di fatto non abbiamo modificato nulla, abbiamo rigenerato Ideal Standard, elevando il valore attraverso un’operazione culturale. Un valore che doveva essere – e per fortuna lo è stato – trasversale su tutta la produzione dell’azienda: conservare sì le collezioni premium, ma anche quelle “affordable” (la parola “economy” non mi piace, richiama prodotti di bassa qualità), che contengano una specifica qualità e che siano inclusivi.
La missione di Ideal Standard è nel suo nome: realizziamo prodotti industriali che hanno una qualità – appunto standard – che viene ripetuta in tutti i pezzi. Non è artigianato. Ogni collezione si posiziona in uno specifico segmento di mercato, ma la qualità non manca mai.

Da quando tu sei arrivato c’è stato un cambio di CEO in corsa: è cambiato qualcosa?
È stata garantita un’assoluta continuità del progetto, nulla è stato messo in discussione.
In Italia siamo abituati ad aziende famigliari, Ideal Standard è un’azienda a impronta manageriale, le decisioni sono frutto di una catena formata da professionisti competenti nel loro ambito e flessibili nel comprendere gli ambiti dei colleghi.

Parli come se tu non fossi il progettista, ma un project manager. Ti ritrovi in questa definizione?
Io mi sento un manager del progetto e nonostante la mia conclamata schizofrenia sono consapevole che l’azienda produce migliaia di pezzi che poi devono essere venduti. Oggi per fortuna Ideal Standard è in una situazione di booming, la domanda è altissima e per questo stiamo aumentando la produzione con interventi mirati. Un progettista che lavora con una macchina come Ideal Standard non può non essere consapevole che non si tratta di cucire e montare 10 divani di alta qualità artigianale quando arriva l’ordine, serve una pianificazione, devo essere un manager e non un poeta – tranne quando ho la matita in mano e comunque non oltre il 10% del mio tempo.

Together World Tour è stato un progetto molto coraggioso, i prodotti alla fine, nome dell’azienda alla fine: un investimento in comunicazione destinato a…?
Together World Tour è un’operazione culturale, non è uno spot commerciale, è un po’ quello che dicevo all’inizio. Un bene di consumo oggi ha bisogno di creare degli alvei culturali e posizionarcisi dentro: noi ci rivolgiamo ai progettisti e a tutti coloro che sono interessati ad andare oltre il prodotto. Il mio lavoro è stato ed è quello di un manager culturale nei fatti e non nelle parole.

La filiera commerciale ha seguito questo messaggio?
Rispondo con un proverbio latino, “natura non facit saltus”: in quattro anni abbiamo fatto miracoli sia sul fronte dei prodotti che sull’acculturamento dei nostri partner commerciali che oggi vediamo essere sempre di più consapevoli della realtà in cui operano.