Intervista a Romeo Sozzi

1. Promemoria nasce “a sua immagine e somiglianza”. Quali sono gli insegnamenti che le ha trasmesso?

L’azienda è cresciuta così, come un fiume in un meandro, dentro un mondo che cresce e cambia, ma mantenendo sempre certi valori, in primis il rispetto per i materiali, per il cliente e per l’uso del prodotto stesso. Mi sono inserito in questa nicchia delle “cose fatte bene”, un metodo che mi viene internazionalmente riconosciuto e mi dà pertanto la carica per proseguire.

Ma il motore di tutto è la passione. Insieme alla curiosità e all’umiltà, sono i tre valori che desidero abbiano anche i miei collaboratori.

2. Come è riuscito a mantenere l’azienda in una dimensione familiare?

Ho sempre investito i guadagni nell’azienda stessa, in nuovi macchinari e innovazioni. Creare un ambiente lavorativo bello e positivo è fondamentale affinché anche i dipendenti possano essere soddisfatti e affascinati dall’evoluzione interna. E il titolare deve essere parte di questo sistema, attivo nel lavoro e attento alle problematiche; così i collaboratori si sentono parte di una famiglia. Non a caso, anche i miei tre figli sono entrati a far parte di questa realtà, impegnati nelle diverse fasi della produzione.

3. Lei è tra l’altro sia fondatore che firma delle collezioni…

Sì. All’inizio della mia esperienza ho lavorato con diversi architetti, ma la situazione era andata complicandosi, sia dal punto di vista economico che di intesa. È qui che Promemoria inizia i suoi primi passi, muovendosi tra gli strati delle necessità del cliente. Avendo una piccola falegnameria, ho sviluppato una mia ricerca. Da 3, 4 anni ho iniziato a collaborare con amici che sono anche architetti, come David Collins, Bruno Moinard, Olivier Gagnère per realizzare delle capsule collection. Non mi interessa un architetto part-time che disegna per più aziende: questo è design industriale. Io cerco invece rapporti più intimi.

4. Questa unicità di pensiero si riflette in una singolarità produttiva. Come definirebbe il suo stile?

Utilizzerei l’espressione “semplice a dirsi, ma complicato a farsi”. Semplice non significa superficiale, è proprio l’opposto; significa ragionarci due volte, per renderlo tale pur essendo complesso. La nostra missione è poi adattare il prodotto alle differenti personalità e bisogni del cliente, con cui si instaura in questo modo un rapporto complice.

5. Cosa vi richiede la vostra clientela?

Mi chiede di andare oltre a ciò che già creo, sentendomi un po’ un sarto quando realizzo un mobile. Il nostro cliente è una persona di mezza età, con più case nel mondo, che vive in aereo e ha interessi globali; è un cliente che conosce la qualità, molto volitivo, colto a volte, e pertanto mi insegna cose che non so. È da questi dialoghi che nascono le esperienze maggiori. Ed è grazie a questa cura per il cliente che abbiamo ottenuto una crescita esponenziale del fatturato negli Stati Uniti, pur dimezzando i nostri punti vendita.

6. Quali sono gli altri mercati per voi importanti? 

L’Europa, in particolare l’area tedesca, olandese e belga, accanto alla Francia che dà buoni risultati; i mercati evoluti come l’est asiatico, dalla Cina alla Corea e più a sud; infine il mercato russo e ucraino.

7. Voi siete una presenza storica in Russia: come avete vissuto il recente dissesto del mercato?

Abbiamo subito un calo, ma sono comunque soddisfatto dei risultati. C’è stato certamente un  cambiamento della situazione, ma resto fiducioso e prevedo buone prospettive per il futuro: a volte c’è solo bisogno di tempo per far maturare le cose. Sono arrivato a Mosca quasi come precursore e sono rimasto tale; ho qui un negozio monomarca (accanto a quelli di Lecco, Milano, Parigi, Londra e New York), bello, vivo, che assiste al cambiamento dei gusti della gente che diventa sempre più semplice, cresce nell’essenziale e nel design.

8. Come giudica invece il sistema arredo oggi?

Sono convinto che questo mondo non si fermerà, sebbene non torneremo a certi consumi; abbiamo bisogno però di nuove idee, nuovi sistemi di abitare, maggiore semplicità: sento che la casa è ancora fatta di umanità. Occorrono meno mobili ma più importanti: è superfluo avere un tavolo da tre metri che non si usa mai o dieci sedie che servono solo due volte l’anno. La qualità è dettata anche da come si spende. E ci vuole anche coraggio nell’eliminare gli elementi di arredo inutili. Ma se un prodotto è fatto bene, durerà nel tempo, se i colori sono giusti, scelti attentamente, rimarranno sempre attuali.