Questione di chimica

Incontro con David Morini, architetto e CEO di Pelizzari Studio, firma di punta nel residenziale di alto livello e nell’hospitality più esclusiva. Con progetti (anche quello di una casa su un albero) che nascono sempre da affinità di gusto

David Morini

All’inizio fu lo stile british (della mamma) a fare i primi passi, poi la conoscenza dell’arte orientale (del papà che ne è collezionista) sommata a una profonda conoscenza della storia, delle architetture rinascimentali e alle competenze velocemente maturate da David Morini (il figlio, architetto e oggi CEO della società) hanno prodotto quello che oggi è Pelizzari Studio, un team che ha fatto del residenziale per la high society internazionale il proprio terreno di coltivazione, scivolando poi dolcemente nel mondo dell’hospitality esclusiva transitando da progettazioni uniche e sorprendenti. Il tutto con una filosofia che David Morini ci racconta dalla sua genesi ai giorni d’oggi.

Come nasce Pelizzari Studio?
Nel 1991 Claudia Pelizzari – mia mamma – fonda a Brescia lo studio, c’è chiaramente un peccato originale in tutto questo perché la storia che lei ama raccontare dice che lei da piccola arredava la casa delle bambole… Una predestinata. Nei primi anni ’90 uno studio di interior in Italia non era così frequente, si parlava più di architettura, ma l’energia e la passione l’hanno portata a mettere in moto questa attività.
Il taglio stilistico era molto anglosassone, i frequenti viaggi a Londra le avevano lasciato questo gusto british che ha trasmesso nel suo modo di progettare. Lo studio ha subito un certo successo, i progetti sono numerosi, la voce circola e la prima pubblicazione di un progetto di Pelizzari Studio è del 1997, nel 1999 addirittura su Andrew Martin Review che alza il livello di notorietà. Nel primo decennio del 2000 sull’allora canale tematico Leonardo di Sky furono presentati alcuni progetti di interior, tra cui quello di una residenza a Venezia affacciata sul Canal Grande di proprietà di collezionisti di arte contemporanea: ci sono tornato a ottobre ed è ancora magnifica. Il mix tra la storicità del palazzo, i pezzi di arte contemporanea e un interior design educato che non ruba la scena alla storia è veramente emozionante.

Quando entri nello studio?
Nel 2012, dopo alcune esperienze presso altri architetti e in Brasile, entro nello studio, nel 2019 apriamo a Milano, nel frattempo il lavoro cresce, la società accoglie altri collaboratori, anche la dimensione dei progetti aumenta significativamente. Da allora abbiamo consolidato l’area residenziale per dedicarci poi anche alla hospitality.

Come arrivano i clienti da voi?
I clienti arrivano perché inciampano in una narrazione molto nostra: capisco bene che può piacere o non piacere, ma è molto caratterizzante del modo con cui affrontiamo un progetto, chi si riconosce in tutto questo ci sceglie. Chimica, vicinanza e assonanza possono affascinare, il nostro taglio è piuttosto secco e direi definitivo, non per tutti chiaramente.
Poi il passaparola fa il suo lavoro, la stampa è per noi molto importante, i nostri canali social funzionano.

Avete una specializzazione che non è così comune, il recupero e il restauro conservativo.
Le ristrutturazioni e i restauri fanno parte della nostra attività, abbiamo avuto frequenti confronti con le Sovrintendenze, sappiamo di cosa si parla quando affrontiamo edifici vincolati. Certo è che, per riprendere il tema della nostra narrazione, noi cerchiamo sempre di affiancare alla storia il design contemporaneo anche minimal.

Avete connessioni con altri mondi?
L’arte contemporanea la frequentiamo con attenzione e interesse, abbiamo realizzato una vip lounge per Artissima di Torino e per Artefiera a Bologna. Abbiamo lavorato anche per il mondo dell’antiquariato realizzando nel 2023 e nel 2024 ingresso, lobby e le parti comuni per l’Amart al Museo della Permanente di Milano, qui il business scarseggia, lo facciamo per divertimento nostro e anche per alimentare la somiglianza con il nostro cliente che spesso è un collezionista e parla quella lingua.

Vi è capitato di ricevere richieste sorprendenti?
Sì è successo, all’inizio non capivamo bene perché queste persone fossero arrivate a noi, poi andando avanti nel progetto lo abbiamo compreso. Noi siamo da sempre abituati a lavorare sul costruito, ci fu commissionata una “casa sull’albero” all’interno di un relais in Maremma nella Tuscia Viterbese: esisteva già una prima casa sull’albero costruita su una quercia secolare in mezzo a un campo di lavanda, a noi venne richiesta una seconda casa sull’albero che doveva essere una suite allestita su un pino marittimo. La realizzammo in collaborazione con un’azienda francese del Luberon specializzata in case sull’albero, era una struttura autoportante di ben 76Mq che riscosse immediato successo. Anni dopo nel 2015 ci chiama dall’Umbria una signora che ci dice “io sono americana, vivo in un piccolo borgo – Panicale, a nord del Trasimeno – e mio genero che vive a Miami sfogliando dal barbiere Elle Decor ha visto la nostra casa sull’albero, mi ha chiamato e mi ha detto di organizzare un incontro con i progettisti”.

La incontriamo, visitiamo il terreno e cominciamo a progettare, la Sovrintendenza dà parere favorevole e invece il Comune lo dà contrario. Nel frattempo, la famiglia decide di acquistare a Panicale un palazzo del 300 abbandonato per farne un boutique hotel. La faccio breve: attualmente per questa famiglia abbiamo completato 8 progetti, il passaparola tra amici e conoscenti (sono tutti stranieri e altospendenti) ha prodotto altri lavori hospitality di livello. Abbiamo fatto un restauro conservativo di gran parte del borgo. Il segno più importante di questi progetti a Panicale è che lo spirito con cui sono stati pensati è legato all’inclusività e all’aggregazione, gli spazi comuni di questi hotel, ristoranti e bistrò sono tutti aperti alla comunità.

Voi fate anche product design e avete un nutrito parterre di partner. Come li avete scelti?
Noi facciamo product design ma finalizzato ai progetti, poi alcuni sono stati inseriti dalle relative aziende nei loro cataloghi: una collezione di maniglie per Groël azienda spagnola che produce vicino a Brescia e una linea di carte da parati per Inkiostro Bianco. Scegliamo i nostri fornitori (mediamente 70 per ogni progetto) selezionando estetica e capacità di aderire ai tempi e alle logiche del progetto, cantiere compreso.

Progetti in arrivo?
Numerosi, ne abbiamo uno che rappresenta una grande sfida e un altro che è una prima assoluta perlomeno in Italia. In consegna a fine giugno abbiamo una villa sul Lago di Como (e fin qui nulla di speciale), ma l’interior designer che nel 1996 ha disegnato la villa (complementi d’arredo inclusi) è stato Gianfranco Ferré. Ci siamo dovuti confrontare con un’eredità importante, è stato molto divertente e intrigante. La rilettura di spazi e materiali è stato un percorso complesso ma entusiasmante. La seconda parla di un imprenditore del Lago di Garda nel 2021 ci chiama e ci dice che desidera fare un boutique hotel a Rivoltella, ma non una struttura qualsiasi, deve essere vegan, tutti i materiali di costruzione devono essere “cruelty free”, nessun animale deve aver subito una violenza. Aprirà a luglio, non credo ci siano altri precedenti del genere in giro.