Spazio – Visione – Trasformazione: così recita la copertina del libro che raccoglie una selezione tra le referenze che Archventil ha messo nel proprio portfolio, il cosiddetto The Archiventil effect, parole che hanno un significato che va ben oltre il loro generico senso, che raccontano come costruire il matrimonio tra il cliente e il suo spazio. Soprattutto dopo aver conversato con Elena Tomlenova la quale, senza mai smettere di sorridere, racconta e si racconta.
Tutto gira attorno a un BID…
BID è l’acronimo di Basic Interior Design, basic perché essenziale e non perché povero, poi BID in inglese significa “offerta” e mi sembrava proprio che calzasse alla perfezione con il nostro pensiero. Mi ha sempre infastidito il caos nel processo progettuale, io desidero che tutto sia organizzato e lineare, ho una mia visione e cerco di metterla a terra con un percorso strutturato e controllabile. BID è stato il “primo bambino”, la pietra su cui ho costruito lo studio e il suo modo di operare fin dal brief del cliente: in questo modo c’è controllo su tutto, dal budget iniziale alle modifiche in corso d’opera, dalle scelte architettoniche a quello formali dell’arredo. Ho distribuito tutte le componenti di un progetto assegnando a ognuna un colore che si riferisce a un asset del progetto stesso. Gli asset per me sono tre: economia, logica e ingegneria, estetica e artistica. In questo modo ho una visione di insieme facilmente leggibile e ho la possibilità di decidere velocemente le priorità e le tempistiche. Il BID mi dice in tempo reale se sono in linea con il brief del cliente e i suoi desideri.
I clienti hanno sempre le idee chiare sul budget?
Certo che no, ma con questo approccio risolvo anche le incertezze di coloro che non hanno bene in mente un budget, a volte non sanno neanche da quante voci può essere composto.
Cerco di partire da cose dirette e semplici, domande tipo “secondo te, quanto costa un buon divano?” e la risposta mi indica già una strada che comincia a delineare una strada per la costruzione del progetto. Poi mi interessa sapere anche altre cose più personale tipo “Ti piace cucinare? Ami la musica? Hai hobby e quali?” Le risposte chiaramente arricchiscono il profilo del cliente e ci aiutano a fare scelte corrette.
E qui entriamo nell’ambito economico immagino?
Esatto, io dico al cliente che è libero di scegliere quello che desidera, se mi dice quanto vuole spendere, a questo punto, declino il valore nello schema del suo BID e decido le priorità. Se il cliente non ha le idee chiare parto al contrario e gli propongo una soluzione che in pratica potrebbe costare anche 10 volte di più di quello che il cliente ipotizza spendere, ma non ci sono problemi, prendiamo stanza per stanza e partendo dalle priorità cominciamo a sottrarre fino a che il cliente dice ok. Praticamente tutti scelgono la seconda strada.
Come arrivano i clienti da voi?
Non solo per il passaparola, anzi non molto direi, abbiamo 9 dipendenti e quindi necessitiamo di numerosi progetti. Lo studio ha un’area marketing molto preparata sul digital con un posizionamento SEO sempre in alto e attraverso keywords molto raffinate che sono in grado di intercettare i clienti pronti a investire, ma magari non ben orientati sul come e sulla eventuale scelta di un partner per il progetto. Esiste ancora il pensiero che un progettista se lo possano permettere solo i big spender e chiaramente non è così. Sui social invece funziona il racconto della referenza e anche qui i nostri specialist hanno sempre il motore acceso.
Tra residenziale e hospitality c’è connessione per il vostro sistema?
Si certamente, anche se negli ultimi anni ci siamo concentrati sul residenziale: io non mi muovo verso altri mondi progettuali – anche se mi attraggono e stimolano la mia fantasia – prima di aver scavato a fondo un settore e averlo digerito. Ma nel frattempo abbiamo fatto tanti progetti di Bed&Breakfast (naturalmente applicando anche il BID) che sono una via di mezzo tra il residenziale classico e la hotellerie più ampia e strutturata. Adesso guardiamo al mondo office con interesse e qui più che BID funziona Mood che offre consulenza su finiture e arredo, anche perché di solito gli spazi degli uffici sono già definiti e le richieste riguardano aspetti più estetici.
Cosa ti sei portata con te dall’esperienza con De Lucchi?
Io sono sempre stata molto fortunata con i Maestri che ho incrociato, di De Lucchi ricordo l’energia e una sana pazzia. Quando parlava del processo progettuale diceva che un progetto cambia anche il progettista, a volte poco a volte tanto, l’incrocio tra le persone e le loro necessità con il progettista e la sua creatività produce un unicum di cui ognuno – cliente e architetto – si porta a casa qualcosa. Quando ero all’università e seguivo le sue lezioni non prendevo appunti come tutti gli altri ma disegnavo sul mio quaderno, a un certo punto lui si alza e viene da me e mi dice “sono terribilmente curioso di vedere che disegni fai mentre io parlo, scambiamoci i quaderni”. Io ero molto emozionata, non mi capacitavo come capitasse proprio a me quella situazione. Il gesto – aldilà di tutto – mi è rimasto scolpito nella memoria. Alla fine del corso il nostro gruppo aveva preso 29 e io proposi di rifiutarlo: non perché fosse un brutto voto, ma perché avrei voluto – e così è stato – andare il più possibile nel suo studio a lavorare su quel progetto con lui.
Come hai scelto le aziende partner?
Non è per caso che noi si lavori con determinate delle aziende, ma il caso a volte aiuta.
Analizziamo molto i player che coinvolgiamo, ma a volte ci lasciamo anche andare e facciamo scelte più emotive, di pelle, una specie di “sì perché sì” e le motivazioni concrete arrivano dopo e da sole. Poi una quota del mio passato professionale mi ha aiutata: quando avevo 18 anni lavoravo a Mosca in una società di import export di arredamento e facevo la designer, mi passavano ogni giorno davanti decine di aziende italiane di tutti i livelli e stili, listini, prezzi, vedevo come lavoravano, come si comportavano. Tutto questo mi ha allenata a fare selezione.
Sono oltre 300 i progetti che Archventil ha “portato a casa” nei suoi 12 anni di vita: aldilà delle scontate competenze – diciamo così – tecniche e la gioiosa e inarrestabile macchina organizzatrice, sono le modalità di approccio che lasciano il segno. C’è un passaggio nell’intro che Elena Tomlenova ha scritto nel suo libro che dice che l’architettura è anche “trasformare abitudini e dare forma a nuove possibilità”: progettare è proprio come far incontrare il cliente con il suo nuovo spazio dove ogni stanza è una scena da un matrimonio.