Milano, 1950: tra i corridoi dell’Accademia di Brera e le aule di Architettura del Politecnico si incrociano i cuori e le menti pionieristiche di Marirosa ed Aldo Ballo. Studiano e lavorano: grazie alla passione comune per la fotografia e alla storia familiare di lei (suo padre era un fotografo professionista), si dedicano al reportage vendendo i loro scatti al Corriere della Sera. Studiano e fanno gruppo, in particolare con Bruno Munari, Gae Aulenti e Massimo Vignelli, con i quali pensano insieme il loro futuro e condividono la storia di un paese in ricostruzione, ignari di essere la prima generazione di quella che nel XXI secolo sarebbe stata definita la “classe creativa”.

Sposi bohémiens, il 26 dicembre 1953, vivono un anno mitico, il 1954, l’anno n°1 del design italiano: la televisione, appena arrivata in Italia, innova il modo di guardare la realtà; viene istituito il primo Compasso d’ Oro per premiare gli oggetti più innovativi prodotti dall’industria; il boom economico introduce la bellezza nei gesti della vita quotidiana: una sorta di gigantesca operazione culturale su più fronti. La comunicazione e la pubblicità – che fino a ora si erano servite dell’illustrazione per divulgare i loro contenuti – cominciano e ritenere più efficace la fotografia nell’educare la sensibilità alla forma e quindi al design.

La casa/studio dei Ballo, che manterrà questa formula nelle sue varie sedi, si ingrandisce sempre di più e assume un assetto da laboratorio di sperimentazioni in ambito cinematografico, scenografico, pubblicitario e della grafica, dove la fotografia è vista come uno strumento di rappresentazione dalle tante capacità espressive: tutto ciò che di tecnologico/analogico esiste è presente in studio, vi si respira modernità, rigore, ordine e razionalità scientifica: la ricerca della perfezione tipica dell’eccellenza in ogni disciplina.

Il dinamismo dello studio ricorda i metodi del Bauhaus, i set sono scenografie più o meno complesse, dal limbo alle scatole prospettiche; dagli still life, veri ritratti di prodotto, alle più impegnative composizioni di set di arredi che ripropongono in studio quello che succede in un interno domestico, in dialogo con la scatola prospettica costituita dal banco ottico. Tutto ciò che porta alla nascita dell’immagine accade grazie alle collaborazioni e agli scambi con le persone che lo frequentano: molti giovani assistenti che poi spiccheranno il volo in autonomia dopo aver appreso, oltre al mestiere, uno stile di vita, di pensiero, di esistenza.

Gravitano intorno ad Aldo e Marirosa intellettuali, architetti e designer, critici d’arte e artisti di tante discipline: Lucio Fontana, Mario Soldati, Osvaldo Borsani, i Castiglioni, Magistretti, Dorfles, i Pomodoro, Alik Cavaliere, Giò Ponti, Cini Boeri, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Alessandro Mendini, Pino Tovaglia, Bob Noorda, Max Huber il quale ispirò ad Aldo Ballo in particolare la visione nitida, essenziale, luminosa e priva di ritocco nella pratica dello still life.

Complici gli amici più stretti architetti e designer, i Ballo raggiungono in pochi anni una fortissima specializzazione nella fotografia di design e dell’oggetto di produzione industriale, di pari passo alla nascita delle maggiori aziende italiane di arredamento che si fanno conoscere nel mondo anche grazie agli scatti dei Ballo.

L’intreccio con il mondo dell’editoria è automatico, con Casa Vogue e le sue copertine a raccontare le evoluzioni dello stile dei Ballo dagli anni ’50 ai ’90. Uno stile che si fonda sul controllo della luce, morbidissima, ma anche sulle capacità di eliminare elementi per non alterare la comprensione dell’oggetto reale, che nel prodotto fotografico trova una nuova forma di vita. Una delle cose più belle che ci hanno lasciato, oltre a un magnifico archivio, è il lascito culturale immateriale e non tangibile della loro avventura: aver capito come comunicare il design.