Nel settore del design c’è molta attesa per la Milano Design Week 2025. Non solo per quanto verrà mostrato nel corso di una settimana che sta diventando più lunga, collegandosi anche alla Art Week (la fiera miart si svolge dal 4 al 6 aprile). Ma anche perché vedrà cambiare la fisionomia del Salone, da sempre il suo epicentro: alcune grandi aziende hanno deciso di lasciare la manifestazione e di concentrarsi sui loro showrooom in città, tendenza già in atto da anni ma oggi davvero di una consistenza che non passa inosservata. Abbiamo chiesto a Maria Porro, presidente del Salone del Mobile.Milano, il suo punto di vista.
Cosa vi aspettate da questo salone?
Abbiamo fatto il giro del mondo con incontri e conferenze stampa e ho sentito tanta voglia di esserci. E anche una riconoscenza molto molto grande. Il lavoro sul progetto culturale e anche il cambio di passo sulla comunicazione nella parte digitale creano ancora più interesse. Sento una wave positiva anche da geografie molto lontane. Poi lo sappiamo, il contesto internazionale è complicato e pieno di incertezze, quindi questo lavoro capillare di promozione internazionale, di apertura di nuovi mercati, è molto importante. I grandi studi di architettura si sono accreditati da tempo, c’è molta richiesta di partecipare al forum sulla luce. Ci sono davvero grande aspettativa e attenzione.
A proposito di incertezze: in questi ultimi anni aziende importanti hanno scelto di non essere a Rho. Questo sta ridisegnando la fisionomia della fiera?
Il cambiamento esiste da sempre, un avvicendarsi dei nomi è normale. A fronte di chi ha lasciato, ci sono tanti – importanti sia come peso specifico che come rilevanza – che sono tornati o arrivati per la prima volta. Ovviamente non posso fare nomi (li faccio io: Natuzzi, gruppo Nemo, Vispring, Moooi e molti altri – ndr). Un’altra cosa da dire è che comunque il Salone ha una forza di attrazione che poi mette a servizio di tutti, anche di chi poi sceglie di stare solo in città. In questi 61 anni l’evoluzione della manifestazione è stata anche lo specchio della rivoluzione della filiera manifatturiera: un contesto estremamente dinamico – per fortuna! – che ha visto aziende crescere, morire, rinascere; passaggi internazionali o di governance. Quindi cercherei di guardare nel complesso e non fermarsi ai singoli casi.
In ogni caso c’è stato un calo dei numeri: dal pre-Covid a oggi il numero degli espositori è sceso.
Lì è stata anche la scelta di avere la fiera monoplanare, quella di incentivare una riduzione dei metri quadri per azienda per ridimensionare il loro investimento. C’è da dire però che il numero dei visitatori e degli operatori ha segnato un record ed è tornato ai livelli pre-covid, parliamo di un +28% dell’anno scorso di operatori, 6.000 giornalisti: un 2024 di grandissimo successo in un contesto internazionale in cui altre fiere non esistono più. Spero che le situazioni aziendali che hanno portato ad alcune scelte si risolvano. Perché tutti sono importanti.


Chi sceglie di non essere in fiera, per quali ragioni lo fa?
Chiedetelo a loro, non a me. Dico solo una cosa: il Salone ha una governance, la città no. Chiunque arrivi e abbia i mezzi può prendersi lo spazio che vuole, senza dover essere valutato e approvato.
La scena europea sta cambiando: fiere che non esistono più, un fenomeno come quello di 3daysofdesign a Copenhagen entusiasma tutti. Cosa sta succedendo?
C’è un mondo che cambia, una distribuzione che cambia, sempre più B2C, sempre più contract e grandi progetti. Cambia il modo di comunicare. Se non si hanno i parametri è sempre più facile perdersi – come consumatore, come professionista – e non capire dove stanno qualità e vera innovazione. La governance del Salone ha una scala valoriale in cui le aziende vengono selezionate e posizionate in base a una scala di capacità espressiva e non a parametri puramente economici. Non la capacità di investimento su uno spazio ma la capacità di esprimere un progetto. Sono gli eventi come questo quelli importanti per aiutare il consumatore a leggere davvero chi fa qualità, chi fa innovazione e chi no. Dopodiché tutti questi cambiamenti il salone li intercetta e il lavoro che stiamo facendo per coinvolgere architetti, interior designer ma anche contractors, è un lavoro molto forte e capillare fatto di investimenti importanti. A servizio di tutto il settore.
Quali sono le vostre strategie per il futuro?
Internazionalizzazione. L’MoU firmato con l’Arabia Saudita è il progetto di organizzare un evento dedicato al contract dei grandi progetti, un obiettivo concreto a breve termine. Negli ultimi due anni c’è stato anche molto interesse di grandi player internazionali e quindi stiamo lavorando anche su questo. Ci stiamo muovendo su tante geografie diverse, abbiamo citato l’Arabia Saudita e quindi tutta l’area del Golfo, ma c’è anche l’India. Il nostro progetto culturale sta contribuendo a posizionare ancora meglio le aziende che si inseriscono nel contesto del Salone. Adesso non ti posso dire niente però in questo ambito per il 2026 c’è già in cantiere una cosa importante.
Molti dicono che la Milano Design Week che è diventata troppo grande. Ci sono delle soluzioni possibili?
La settimana ormai interessa non solo a chi si occupa di arredo ma a tutti. Questo ha portato a una confusione, a una maggior difficoltà di farsi vedere da parte di tutti quegli eventi off, autogenerati che in passato invece erano un valore aggiunto, una spezia speciale. Col Politecnico abbiamo un progetto sull’“ecosistema design”, cerchiamo di creare dei tavoli di lavoro, condivisione di idee. Con la nostra struttura digitale cerchiamo di supportare le aziende che sono al Salone e in città nell’essere visibili, promuoviamo gli eventi che istituzioni come Triennale e Compasso d’Oro portano avanti. In fin dei conti questo è anche aiutare il visitatore. Alla fine il vantaggio è per tutte le aziende che fanno parte del nostro sistema. Non solo per chi sceglie di essere a Rho.