Dare corpo alle idee

Incontro con Simone Maccagnan, fondatore di una start-up che unisce scienza dei materiali e meccanica di precisione. E li mette al servizio del design

Wilhelm Lamp design Tiziano Vudafieri
Wilhelm Lamp design Tiziano Vudafieri

Oggi esiste un processo di stampa 3D che modella i prodotti secondo i disegni e le geometrie richieste, anche quelle più complesse, utilizzando plastica riciclata attraverso la tecnologia Robotic Additive Moulding (RAM), che combina materiali di varia natura e tipologia – rigidi e morbidi, conduttivi e isolanti, colorati e trasparenti – offrendo diverse possibilità di configurazione e garantendo ai progettisti una libertà creativa senza pari.

Simone Maccagnan
Simone Maccagnan

“Aiutiamo chi progetta a realizzare ciò che ha immaginato, permettendogli di risparmiare anche sui materiali”, spiega Simone Maccagnan, CEO & fondatore di eXgineering, una start-up che unisce proprio scienza dei materiali, meccanica di precisione e una lunga esperienza nel campo della “microestrusione”, un processo di produzione industriale che realizza pezzi a sezione costante e senza saldature (tubi, lastre, barre, ecc…), con volumi di materiale molto bassi, in grado di prevenire il degrado meccanico e termico.

Gimac, azienda storica della sua famiglia con sede a Castronno (Varese), è produttore di sistemi di apparecchiature per la lavorazione dei polimeri per dispositivi biomedici e farmaceutici.
Siamo riconosciuti a livello mondiale per la capacità di fornire capacità di precisione per la produzione di componenti di cateteri e tubi per palloncini, la nostra nicchia è sempre stata al 100% medicale.

Come e quando ha deciso di avventurarsi anche nella stampa 3D e nel design?
Già all’inizio degli anni ’80 mio padre ideò un sistema che permetteva di costruire montature per occhiali utilizzando quantità minime di materiali e generando pochissimi scarti, grazie a una macchina che potremmo definire la prima stampante 3D da materiale fuso. Il problema è che lui era arrivato troppo presto, perché a quei tempi l’obiettivo era consumare, non certo risparmiare e riutilizzare come proviamo a fare oggi. Così, una decina di anni fa, insieme al CNR ho ripreso in mano la sua idea e ho intrapreso la strada dell’additive manufacturing.

Architetti e design non hanno fatto mancare il loro apporto in questi anni.
No, anzi. Uno tra i primi a credere in noi è stato Tiziano Vudafieri, per il quale nel 2019 abbiamo realizzato la Wilhelm Lamp, un’inedita rilettura del vaso del designer tedesco Wilhelm Wagenfeld: in quell’occasione, come eXgineering abbiamo sviluppato una tecnologia di stampa 3D che parte direttamente dai granuli di plastica, realizzando l’oggetto in policarbonato riciclato. Sempre per Vudafieri, abbiamo poi creato una serie di paralumi per i ristoranti Paradiso di Cannes (2020) e Abu Dhabi (2022), e il grande bancone della Terrazza Aperol a Venezia. Nel 2023, invece, è stata la volta di One Line Two Coils di Ron Arad: una poltrona caratterizzata da una linea e due spirali prodotta con l’additive moulding. Per realizzarla, insieme a Indexlab, uno dei laboratori di ricerca del Politecnico di Milano, abbiamo usato una miscela di policarbonato riciclato con l’aggiunta del 30% di fibra di carbonio e di additivi utili a garantire elasticità e resilienza. Infine, in occasione del Salone del Mobile 2021, nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano è stata esposta una torre per la depurazione dell’aria, progettata per la struttura Urban Lounge, con cui Pininfarina ha partecipato al progetto internazionale RoGUILTLESSPLASTIC di Rossana Orlandi.

Rispetto ad altri settori, com’è collaborare con il mondo del design?
Ci godiamo il confronto, perché tra ingegneri e designer c’è uno scambio reciproco e continuo: attraverso il design, l’ingegnere sa di avere l’occasione di riuscire a creare qualcosa di bello oltre che funzionale; col sostegno della tecnica, il designer sente che può fare davvero tutto ciò che ha in mente. E così, alla fine, si perdono le etichette: l’ingegnere si scopre un po’ designer e viceversa.

Con enti e istituzioni pubbliche avete mai lavorato?
Sì, ma soprattutto con le scuole e le Università preferisco collaborare senza “ricevere”. Ad esempio, con il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) di Lugano abbiamo appena lanciato una nuova iniziativa che coinvolgerà otto studenti del corso di Design di Prodotto della Scuola Specializzata Superiore d’Arte Applicata, che saranno chiamati a sviluppare un sistema composto da semilavorati (assi, pannelli, mensole, ndr) ed elementi di connessione, pensati per risultare facilmente modificabili e riproducibili autonomamente con stampanti 3D domestiche. Il prodotto finale dovrà soddisfare due requisiti principali: democratizzare la produzione di soluzioni di arredo, permettendo all’utente di scegliere cosa acquistare, autoprodurre ed eventualmente personalizzare; prolungare la vita stessa di mobili e oggetti grazie al principio della modularità, riducendo così anche i rifiuti. In questi termini sarà fondamentale il supporto di LATI, una delle più importanti aziende europee produttrici di termoplastici tecnici, la quale condurrà una ricerca di materiali non solo più idonei alle esigenze di progetto, ma anche più sostenibili, derivanti se possibile da materie prime riciclate.

In futuro aspirate a diventare una ditta di design vera e propria?
No, non sarebbe giusto: io mi diverto a inventare e progettare, ma non sono un designer. E poi la maggior parte di quelli che si scoprono designer a 40 o 50 anni non dura molto! Io penso che ognuno debba conservare la sua posizione, senza bruciarsi la reputazione perché diventa troppo “goloso”…