Come ti definiresti come designer?
Io sono partito con l’imprinting di Roger Tallon (quello che ha disegnato il TGV), passavo molto tempo a disegnare motori o contenitori di liquidi per le grandi multinazionali della chimica. Avevo già lavorato con lui quando ero studente, avevamo progetto dei televisori molto particolari. Nel tempo ho poi imparato a utilizzare questo zoccolo duro per arrivare a disegnare pezzi d’arte: due mondi opposti che mi è piaciuto avvicinare, ancora oggi faccio uno schizzo a mano libera come se stessi dipingendo e poi parto dal lato opposto con lo stesso soggetto che ho in testa ma con un approccio ragionato, poi piano piano cerco di avvicinarli.
Sei stato uno dei primi laureati in Estetica Industriale, perché quella scelta e come si traduce nella tua attività?
Ho scelto Estetica Industriale perché la facoltà di Architettura (ero al quarto anno) aveva aperto questo corso, mi incuriosii, andai a informarmi e mi accorsi che nessuno si era iscritto. Decisi allora di provare, alla fine eravamo in 5, avevamo un laboratorio tutto per noi con attrezzature nuovissime: fu una specie di cocooning fantastico che mi aprì gli occhi verso il mondo dell’industria e dell’arte. Lavoravamo ragionando senza il condizionamento del denaro, ci trasferirono anche nozioni di marketing (che io detestavo a pelle): tutte conoscenze che messe insieme creavano una cultura.
Cos’è il “buon design” oggi?
Se sapessi bene che cos’è il design risponderei volentieri con decisione e certezza. Invece non lo so ancora definire. Poco tempo fa ho partecipato a una riunione dove uno a un certo punto ha detto “però qui bisogna mettere un po’ di design”: mi sono immaginato un vasetto che magari acquisti al supermercato con un pennello che serve per spalmare “un po’ di design” su qualche oggetto. Serve il cosiddetto “buon senso della nonna”, capire il contesto culturale con cui si ha a che fare ed essere seri, serve un imprenditore disponibile con cui dialogare, servono dei tecnici preparati, serve un’idea economica sostenibile: se rimani dentro questi paletti giochi a carte scoperte, se esci puoi fare arte ma non è detto che possa funzionare e poi magari non ti chiama più nessuno.
Dallo scarpone alle lampade (come la Mite for Foscarini, disegnata nel 2000 e premiata con il Compasso d’Oro)… come è successo e perché?
Tra lo scarpone (tanti scarponi) e la lampada ci sono in mezzo tanti anni. Negli anni 70 ho inventato lo scarpone in termoplastica che ha rivoluzionato anche il modo di sciare, praticamente “ero ai piedi” di migliaia di persone: ecco, per riprendere la domanda sul design, io non sapevo che progettare uno scarpone fosse design, cercavo solo di fare bene il mio mestiere.
Come si arriva a disegnare Trafic? È decoro?
No, o perlomeno, magari lo diventa così accontentiamo anche gli amanti della sola estetica, ma è stato pensato per essere un pavimento molto versatile e super resistente (ci può passare sopra un camion).
È stata un’idea tua o hai ricevuto un brief dall’azienda?
In realtà nessuna delle due: avevo già fatto un pavimento per Listone Giordano, volevo fare un “seminato” ma era troppo complicato, nel percorso è arrivata l’idea di un laminato tagliato dal verso sbagliato e girato, il risultato è una superficie che al tatto sembra un vellutino, sta avendo un bel successo nonostante sia un legno povero ma con una prestazione da legno pregiato, anche economicamente è molto interessante. A volte basta poco (e serve anche un po’ di fortuna) per trasformare un materiale povero in un prodotto che funziona, nonostante esteticamente si sia lavorato con il freno a mano tirato per poter dare delle opzioni di costo sostenibili e attraenti. Anche qui il “buonsenso della nonna” di cui parlavamo prima ha prevalso. Ci siamo trovati, ha funzionato. Fa bene all’azienda e fa bene anche a me.

Incrociamo Andrea Margaritelli – brand manager di Listone Giordano – e gli chiediamo: “perché Marc Sadler”?
Marc è un portatore di fascino del passato attualizzato ad oggi, la sua cultura mitteleuropea (nato in Austria, cresciuto in Francia, oggi in Italia) ha inciso molto sul suo modo di progettare, un progettare efficace anche perché capisce le difficoltà, ha masticato i cicli industriali, di Marc Sadler mi ha sempre stupito la sua attitudine a non fermarsi davanti alla dimensione estetica, è un progettista che scende nelle profondità.
Alla domanda “che cos’è il buon design” Marc Sadler non ha saputo rispondere
Rispondo io al posto suo. Marc è un curioso naturale, vuole sapere e capire tutto. Il disegno arriva dopo, il segreto sta nella curiosità.