Il caso Pillet
La musica, i fumetti, l’arte, il mare: poi, improvvisamente, il primo contatto con il design e da quel momento la sua vita cambia direzione e un susseguirsi vertiginoso di casualità (così le ha definite lui) lo porta ad essere oggi uno dei più amati e riconosciuti designer della scena internazionale. Christophe Pillet è un vero gentleman che racconta e si racconta con leggerezza e serietà, con un costante principio di sorriso e una persistente energia che – nonostante appartenga di diritto alla categoria dei “senatori a vita del design” – non accenna proprio a diminuire. Come un classico della musica Prog degli anni 70, il percorso di Christophe Pillet incarna la fantasiosa equazione “calma produttiva-attrazione-velocità = esecuzione”, con assoli (Memphis, Branzi, De Lucchi, Starck e Bedin) lunghi e intensi che lo formano prima nel product design e poi nel mondo dell’interior. Oggi, con una vita tra Parigi e Les Baux de Provence, Pillet continua a privilegiare le relazioni personali prima che professionali, a caccia di quella chimica che mette in moto la creatività.
I tuoi studi parlano inizialmente di arte, quando e come è successo che la tua strada cambiasse direzione?
Il caso ha avuto un ruolo importante nella mia vita professionale, io volevo fare il musicista, mi sono ritrovato a Nizza in una scuola d’arte per far piacere ai miei genitori che non amavano sentirmi suonare tutta la notte e poi di giorno stare in spiaggia. In quel periodo leggevo diverse riviste e ho scoperto Memphis, il periodo era quello e per un musicista vedere del design colorato e radicale che gli sembrava rock’n roll rappresentava una fantastica scoperta.


Ho subito avuto una percezione potente e diretta pur non sapendo nulla di design e di Milano. Un mio professore che aveva notato questa mia curiosità mi disse che stavano aprendo una scuola Memphis a Milano (la Domus Academy): era il 1986, un pomeriggio sono partito. In realtà desideravo solo conoscerli, respirare la loro aria, avere davanti i protagonisti di un movimento culturale che percepivo elettrizzante.
Il caso Memphis: arrivi a Milano e….
Incontro Andrea Branzi, abbiamo chiacchierato per un’ora, gli ho fatto vedere dei miei disegni che lui ha trovato simpatici e interessanti, mi ha offerto una borsa di studio che ho immediatamente accettato. In un anno alla Domus Academy ho incontrato persone fantastiche che uno potrebbe non incontrare in una vita intera: Gianfranco Ferré, Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Alessandro Mendini solo per citarne alcuni. Un’inarrestabile onda di creatività, ma anche di metodo e di cultura del design nel vero senso della parola

Il caso Michele De Lucchi
De Lucchi mi fece entrare nel suo studio, probabilmente disperato nel vedermi praticamente dormire sempre fuori dalla sua porta. E poi, da vero gentiluomo, mi ha presentato ai suoi amici che mi hanno accolto e aiutato a crescere. Dopo il primo anno ero già molto coinvolto e ho deciso di mettere in pratica quello che avevo imparato. In quel periodo Michele De Lucchi è stato generosissimo con me e ha cominciato a farmi fare dei lavori: il primo, lo ricordo bene, era un lavoro di graphic design su alcuni laminati della Abet. Fu lui a trovarmi poi un lavoro da Carlotta Bevilacqua e poi da Martine Bedin. Ancora oggi vedere il mio nome tra gli autori di Memphis mi fa impressione, ma in quegli anni tutti gli assistenti dei grandi architetti avevano la possibilità di disegnare cose proprie, c’era molta disciplina ma anche molta libertà di fare.

Il caso Starck
Ero a Milano da Martine Bedin, stavo bene, un giorno stavo leggendo Liberation e ho intercettato un annuncio di Starck che cercava collaboratori. Telefono, mi risponde la moglie di Starck che mi convoca per il giorno dopo alle 9 al Café Costa a Parigi. Ovviamente parto, il giorno dopo mi presento e Starck mi dice “benissimo, cominciamo dopo domani”. E così da Milano sono tornato a Parigi nel giro di 24 ore, pensavo di rimanerci tre settimane, sono diventati 5 anni. Con Starck ho trascorso 5 anni meravigliosi in giro per il mondo, indimenticabili non solo dal punto di vista professionale. La mia storia professionale è tutta così, non ho mai avuto un progetto da seguire, ma ho seguito passione e istinto: sono stato obiettivamente molto fortunato.
Questo tuo modo di “andare incontro alle cose” è successo anche nel mondo del progetto?
Il mondo del progetto è nato con Starck e si è sviluppato in Italia, ho approcciato questo mondo con il migliore strumento che avevo a mia disposizione in quel momento: il fumetto, mia passione giovanile. Io non avevo esperienza nel mondo della progettazione di interni, ma negli anni 80 la rappresentazione grafica “disegnata e un po’ fantasiosa” funzionava (sempre per fortuna), Starck mi aveva affidato molti progetti, i clienti erano contenti di come gestivo la filiera post disegno e con i miei “fumetti” me la sono cavata.



Le tue direzioni artistiche: è stato ed è un ruolo dove ti senti a tuo agio?
La direzione artistica è una storia a sé: devi essere dentro il sistema dell’azienda che curi e al tempo stesso devi essere fuori dal sistema, vicino e lontano, coinvolto e distaccato.
Questa ubiquità che sembra impossibile è faticosa, ma è quello che ti consente di essere rispettoso della storia e al tempo stesso libero di vedere delle prospettive per alimentare quella storia.


Occorre riuscire a creare una narrazione che non è la tua ma che deve essere comprensibile e seducente, alla fine quella storia diventa anche un po’ tua se riusci a tenere una giusta e costante tensione tra l’azienda e te stesso. E’ successo con Lacoste per 10 anni, succede oggi con Ethimo per esempio anche se non sono il loro art director, sta per succedere con Kreoo.
Quale persona non hai incontro nella tua vita?
Ho sempre fatto le mie scelte in base alle persone che si offrivano di lavorare con me. Più raramente sul soggetto che mi veniva proposto. L’avventura umana del progetto è per me più importante della natura dell’oggetto da disegnare. Essendo arrivato nel mondo del design per caso, ho sempre pensato, un po’ come un turista (ma un turista serio e rigoroso…), che i bei momenti passati in questo mondo valessero più della gloria dell’oggetto creato. Quindi, nonostante l’età avanzi, spero di essere dentro nella prossima “onda” del design.

