Cosa significa innovazione parlando di pietra naturale?
L’innovazione per me è reinventare e rimettere in discussione ciò che si fa e il modo in cui lo si fa. Abbiamo a che fare con un materiale esistente da qualche milione di anni: di fatto un pezzo di roccia che va rispettata. Quello che si può fare è cercare di reinventarla cambiando punto di vista.

Da un lato ribaltare i punti di vista, dall’altro la continuità del saper fare
Per imparare, in passato si “andava a bottega”, senza nessun compenso. Oggi non è più così. Se facessimo una scuola di formazione dove ai pensionati delle aziende artigianali del nostro territorio si desse la possibilità di insegnare (e di restare impegnati) non si perderebbe tutto quel saper fare. D’altro canto abbiamo una grande fortuna perché quando le persone entrano in azienda, specialmente gli operai, se ne vanno via quando sono proprio anziani. Oggi abbiamo giovani appassionati, con un senso di appartenenza all’azienda altissimo e con voglia imparare. Devo dire che quelli con più seniority trasferiscono tanto.


Quindi per la prossima generazione avete ancora delle buone maestranze?
I vecchi mestieranti di una volta non ci sono più. Tante delle nostre lavorazioni non si possono fare con le macchine a controllo numerico. Le rifiniture vanno fatte a mano con la sensibilità dell’esperienza.
In Salvatori avete messo a punto macchinari derivanti da altri tipi di lavorazioni, com’è andata?
Siamo sempre stati di passione, di curiosità personale. Mio padre è partito dal pensare tutto all’incontrario. La sperimentazione – per lui in maniera folle, molto più di me! – si è tramandata. Fra un “che succede se vado a levigare il marmo con utensile da vetro?” e “se lo vado a graffiare con utensili da legno?”, sai quante macchine abbiamo buttato via?


Quali sono i pezzi realizzati con questi macchinari rivisitati?
Negli anni ’50 nacque lo spaccatello, invenzione di mio padre Guido Salvatori. A Milano, Torino, Roma EUR molti edifici sono rivestiti con milioni di metri quadrati di queste tesserine.
In cosa consisteva questa invenzione?
Fai conto di prendere una ghigliottina con una lama pesante sotto la quale metti le tesserine di marmo, poi un colpo secco. Dove c’è la naturale frattura interna della pietra, si divide e rimane una superficie a spacco. La Salvatori è nata con quella trancia: era talmente fuori dai canoni che per tre anni non vendemmo nemmeno un pezzo. Poi un boom: lavoravamo su tre turni al giorno.

A proposito di tutti questi esperimenti, ci saranno state richieste così particolari da sembrare tecnicamente irrealizzabili?
Nel 2006 lo studio Baumschlager Eberle ci contattò per la realizzazione della facciata dell’e-science lab del Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ), con la richiesta di lastre da 6 metri di travertino in pezzo unico. Far tagliare in cava dei blocchi di dimensione superiore ai 3,80 metri è molto complesso e non conviene, tutti dicevano loro che non era fattibile. E invece glielo abbiamo fatto smontando i telai tradizionali, saldandoci delle prolunghe, facendo fare lame lunghe oltre i 6 metri.


Questo la dice lunga sui rapporti che riuscite a instaurare coi designer, che non vi interessa ne sappiano di pietra…
Vero, anche la gente che entra a lavorare in azienda non arriva dal nostro settore, Salvatori è fatta di persone portatrici di culture diverse; nei designer cerco la capacità di guardare alla rovescia. Vico Magistretti diceva che i bei prodotti nascono sempre da un bravo artigiano e un bravo designer. Uno tira da una parte e uno dall’altra… come in musica gli intervalli di quarta che ti smuovono la pancia.
Non per niente avete iniziato la collaborazione con Urquiola
Patricia è l’esempio di questa attenzione. The Small Hours, la collezione di quest’anno, viene da una mia visita Judd Foundation di New York dove vidi un lavandino d’acciaio in acciaio inox fatto fare da Donald Judd per casa sua. Ero sicuro che Patricia fosse la persona giusta per interpretare questa mezza follia!


Quali sono i vostri mercati principali?
L’azienda è sempre stata molto aperta ai mercati esteri e fin dagli anni ’50 il nostro primo mercato è stato quello statunitense, mentre l’Italia è stato l’ultimo. Oggi abbiamo una rete distributiva con negozi monomarca Salvatori in America, Cina, Israele, Kuwait, Australia e in tutto il mondo.