La mostra Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la luce (Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano – fino al 14 gennaio 2023, a cura di Gabriella Belli) mette insieme una brillante intuizione curatoriale, opere di alto valore storico e un allestimento di notevole intelligenza pensato dall’architetto Mario Botta.
È la storia di una affinità elettiva, quella di due maestri italiani del Novecento distanti anagraficamente e nella percezione storica generale: Giacomo Balla (1871-1958) e Piero Dorazio (1927-2005). Nel 1912 Balla è a Düsseldorf per decorare lo studio della villa della famiglia Löwenstein: durante questo soggiorno inizia a sperimentare una nuova idea di pittura, che partendo dall’osservazione dei fenomeni legati alla luce prende forma in un linguaggio totalmente astratto.
Balla disegna sui fogli di un blocco per appunti: sono le prime Compenetrazioni iridescenti, come verranno chiamate in seguito. Un ciclo di poche opere, su carta o su tela, di cui la mostra – nata da un’idea di Danna Battaglia Olgiati – raccoglie oltre venti esemplari.
Salto di tempo e di luogo: Roma, fine anni ’50. Qui il giovane Dorazio frequenta casa Balla ed è forse il primo a riscoprire la statura di questo artista il cui nome in quegli anni era ancora mal visto per la sua adesione al Futurismo, considerato troppo vicino al fascismo. Le tele che presenterà alla Biennale di Venezia del 1960, Trame luminose, sono come una prosecuzione della ricerca portata avanti dalle Compenetrazioni di Balla.
La mostra accosta proprio questi due episodi del percorso di Balla e di Dorazio, ed è affascinante vederne i punti in comune. In questo l’allestimento progettato da Botta è una macchina scenica efficace: un ritmo di volumi bianchi e neri – linguaggio che ritroviamo in molti progetti celebri dell’architetto/designer – che rispondono a un bisogno preciso. «Quando ho iniziato a lavorare a questo allestimento ho capito che era come se fossero due mostre in una: i lavori di Balla avevano dimensioni più piccole rispetto a quelli di Dorazio, grandi come manifesti», spiega l’architetto.
«Il vero tema – prosegue – era fare in modo che potesse esistere un confronto tra i due. Lì è nata l’idea di creare dei cunei, degli squarci bianchi che diventassero piccole sale in cui mettere questi i lavori di Balla, sospesi nel vuoto per dare loro preziosità. Al contrario Dorazio aveva bisogno di una superficie nera per esaltare i suoi colori. È nato così questo doppio registro che dà al visitatore la capacità di vedere contemporaneamente le due parti. Uno sguardo nel tempo, si doveva sentire la differenza di epoca tra questi due autori. Ecco svelato l’inganno».
Il risultato è uno spazio in cui le opere d’arte vivono in modo diverso dal solito e, insieme, raccontano un’affinità artistica e di pensiero non evidente ma reale. Un viaggio nella storia seguendo un’idea.