L’edizione di quest’anno della Milano Design Week, dal 17 al 23 aprile, è stata intensa e particolarmente ricca. Forse perché la kermesse è tornata, per la prima volta dopo tre anni, al suo tradizionale appuntamento di metà aprile, seminando nella città un’effervescente energia e confermandone il ruolo di capitale internazionale del design.

Il colore è stato uno dei protagonisti dell’ultima edizione della Design Week. Alcune installazioni che abbiamo visto in città hanno infatti riportato scelte cromatiche molto precise: pensiamo alla presenza costante della luce rossa che ha caratterizzato la mostra di Cassina “Echoes: 50 years of iMaestri”, che è andata in scena nel caveau di una banca all’interno di Palazzo Broggi, ex sede di Unicredit in via Tommaso Grossi 10, in affaccio su piazza Cordusio.

Sotto la curatela dell’art director Patricia Urquiola insieme a Federica Sala, il marchio di Meda ha messo in mostra le proprie icone attraverso uno scenografico percorso in cinque tappe che ha raccontato alcuni dei progettisti più importanti del Novecento, da Le Corbusier a Vico Magistretti e Marco Zanuso, passando per una selezione dei modelli più rappresentativi di Gerrit T. Rietveld. Il colore rosso (distintivo del marchio Cassina) tingeva le vetrine del palazzo anticipando all’esterno i contenuti della mostra e creava un’atmosfera rarefatta e totalizzante che avvolgeva il visitatore, appena messo piede all’interno.

Il primario blu Klein ha caratterizzato senza mezzi termini l’installazione che il marchio di vetri statunitense FFerrone ha portato all’interno di Villa Mirabello, una residenza privata del secolo XV situata alla Maggiolina, storica zona di villette alle porte del quartiere Isola. Le iconiche collezioni di bicchieri di Felicia Ferrone, fondatrice e direttrice creativa del brand, si stagliavano sul fondo monocromatico blu Klein, poste su un grande tavolo che richiamava banchetto rinascimentale.

Il colore, in una sua componente trasversale, che è la translucenza – ossia la proprietà che permette alla luce di attraversare parzialmente un materiale e di rifletterlo in parte –, è stato anche il fulcro dell’allestimento concepito da Studio Vedèt per Nilufar Depot. Qui, nell’arena centrale del Depot, faceva bella mostra di sé il nuovo set di mobili in resina iridescente, realizzato dallo studio greco basato a New York, Objects of Common Interests. Grazie a una tecnica innovativa che si basa sulla lavorazione della resina liquefatta, i pezzi mantengono il loro riflesso diafano.

Le location inconsuete sono state un refrain presente durante la settimana: alcune troppo distanti dal centro in relazione al (poco) tempo a disposizione per visitarle, altre decisamente imperdibili. Più di una le chiese che si sono prestate ad accogliere la creatività esuberante di questa edizione: San Vittore e 40 Martiri, una chiesa sconsacrata e chiusa al culto alla fine del XVIII secolo che si erge in piazzale Corvetto, ha funzionato alla perfezione come quinta teatrale per la mostra “Desacralized” della Galerie Philia, che ha portato una ventina di suoi artisti internazionali, tra cui Studiopepe e lo studio ucraino Faina.


La centralissima chiesa di San Celso, in corso Italia 37, ha invece ospitato la serie di cinque di tappeti Les Arcs di Charlotte Perriand, prodotti da cc-tapis. Qui, la curatrice e scenografa milanese Michela Croci ha introdotto una nuova prospettiva sul collocamento dei tappeti nello spazio, guidando lo sguardo dello spettatore dal basso verso l’alto. E, poco distante, anche la chiesa di San Paolo Converso ha aperto i battenti per lasciar entrare un jet privato lungo quindici metri e un trittico di armadi a forma di jeans, tutti realizzati con jeans riciclati di G-Star Raw e concepiti dal designer olandese Marteen Baas.

Questa necessità di presentare gli oggetti sullo sfondo di scenografie ben orchestrate e suggestive è propria del linguaggio dell’arte, altra grande protagonista della settimana del design più densa dell’anno. Pensiamo al portale degli Zaven, che ha accolto i visitatori del Circolo Filologico di via Clerici, con le parole “Objects Speak. Poems Act” incise sui portali all’ingresso, che suonavano come una poesia verbo visuale.

O ancora, all’installazione dell’artista Agostino Iacurci, che ha trasformato l’iconica Torre per uffici realizzata da Arrigo Arrighetti nel 1955, ora prossima alla demolizione, con l’opera site-specific “Dry Days – Tropical Nights”. E a quella dai colori pastello creata dall’artista portoghese Joana Vasconcelos per Roche Bobois.

O, infine, dai paesaggi onirici e immersivi creati da Ellen Van Loon e Giulio Margheri di OMA per SolidNature nello Spazio Cernaia, nel cuore di Brera, e da Gaetano Pesce per la boutique Bottega Veneta di via Monte Napoleone, che l’artista ha trasformato in una caverna, per offrire un’esperienza unica ai visitatori e presentare un’edizione speciale di borse da lui disegnate.

Questa ricerca di teatralità a cui abbiamo assistito durante la settimana del design milanese, sembra aver proiettato oggetti e collezioni in un universo dove tutto è finto, ma niente è falso.