Le interviste di IFDM: Marco Sammicheli

Incontro con il direttore del Museo del Design Italiano presso Triennale Milano (e curatore per il settore design, moda e artigianato). Per parlare di come raccontare questo argomento al grande pubblico

Marco Sammicheli - Photo © Gianluca Di Ioia
Marco Sammicheli - Photo © Gianluca Di Ioia

La Triennale quest’anno compie cent’anni, cosa ci ha lasciato in eredità e soprattutto cosa ci ha insegnato?
«Un secolo di vita, ma senza una ruga, perché come una gran dama, nella sua lunga esistenza è riuscita a occuparsi del presente ribaltando i paradigmi grazie al suo sguardo aperto verso il futuro. Dal design, all’architettura, dalla moda alla fotografia il mondo intero è passato sotto quei grandi archi, e se un tempo il mondo che lei voleva rappresentare era legato a un ristretto ambito di interesse – come la progettazione delle case, i trasporti o le navi da crociera – oggi, che il design è diventato una disciplina estremamente pervasiva, ha assunto anche l’importante ruolo di educare alla qualità, perché dietro a ogni prodotto c’è una filiera a cui dare visibilità. Oggi il design è ovunque e anche il tempo oramai è annullato, non bisogna aspettare il Salone del Mobile per capire che c’è tutto l’anno. Un secolo di sperimentazione radicale (che sarà raccontato nel libro curato da Stefano Boeri e Mario Piazza in uscita a maggio) trascorso attraverso le prime ricerche sull’abitare come la “Casa del sabato per gli sposi” della BBPR nel 1933, per arrivare al Sessantotto con la protesta che entra anche al Palazzo dell’Arte, ma interrompe solo per poco la manifestazione che aveva per tema il “Grande Numero”. E pensare che oggi parliamo di Big Data quando già all’epoca personaggi del calibro di Umberto Eco, Vittorio Gregotti, Archigram e Arata Isozaki, già avevano intuito tutto sul nostro futuro».

Historical poster of the Milan Triennale, 1933
Historical poster of the Milan Triennale, 1933

Ma se il design è ovunque come è cambiata la sua narrazione?
«Bisogna musealizzare anche tutto ciò che i templi del design hanno considerato negletto: porte, finestre, sanitari, insomma tutti quegli oggetti che sono stati classificati come brutti anatroccoli. Non alla pari di lampade, divani e di altri arredi più nobili. E mentre l’intelligenza artificiale favorirà una fruizione più composita, la cultura materiale diventerà il nuovo focus su cui concentrare il racconto. Non più fatti isolati o eventi eccezionali, ma pezzi concreti che sappiano narrare i fatti ripetuti piuttosto che gli eventi straordinari. E in questo contesto diventa sempre più importante la contaminazione anche per rendere sempre più fruibile a un grande pubblico il messaggio, forse oggi troppo d’élite. Questo perché, in passato, spesso, il design è stato raccontato attraverso il filtro dell’arte o della genialità del singolo mentre bisogna cominciare a prendere in considerazione quello più silenzioso che vive dell’uso quotidiano e della genialità di chi l’ha prodotto».

Historical posters of the Milan Triennale, 1968
Historical posters of the Milan Triennale, 1968

E allora, cosa dobbiamo aspettarci alla riapertura il 15 aprile?
«L’idea parte proprio da questo presupposto e nella logica dell’evoluzione della nostra illustre dama era necessario ribaltare di nuovo i paradigmi per guardare al futuro. All’interno del museo, cambia tutto a cominciare dal layout. E per farlo abbiamo chiamato Paolo Giacomazzi, giovane progettista, che ha realizzato un allestimento che durerà due anni a partire da aprile. Niente icone sul piedistallo che strizzano l’occhio all’arte. Nel percorso ci saranno box vetrati dove abbiamo ricostruito ambienti come la casa Minerbi di Piero Bottoni a Ferrara o la residenza Manusardi di Figini e Pollini a Milano e l’appartamento Albonico di Carlo Mollino a Torino. Ma non solo, vista la logica da cui siamo partiti, ci sarà anche un garage con una Cinquecento, una Vespa, una Lambretta e uno scooter Guzzi Galletto. E un bagno originale della Pozzi Ginori di Antonia Campi.

Fiat 500 - Photo © Gianluca Di Ioia
Fiat 500 – Photo © Gianluca Di Ioia

Altra novità lungo il corridoio che porta agli Anni Ottanta e Novanta uno ziggurat con una serie di oggetti troneggia racconterà come il design italiano si sia trasformato proprio in quegli anni in un insieme di costellazioni, da comprendere anche attraverso una serie di mappe, realizzate da grafici, storici e designer per riviste come Casabella, Abitare, Interni e Domus. Alla fine del percorso una sala conclusiva, la Design Platform, si occuperà del contemporaneo con mostre monografiche ​​o tematiche. La prima Text, vuole evidenziare come la cultura del tessile e il rapporto testo, immagine e prodotto abbiano generato filoni di ricerca tra arte, artigianato e moda. La seconda, da ottobre a gennaio, sarà dedicata ad Alberto Meda. E poi sarà la volta di una curata da Nina Bassoli e un’altra da Damiano Gullì».