Verso il finito e oltre

Incontro con Corrado Molteni, creatore di Mo.1950, azienda di servizi al contract e di retail. Per parlare di strategie, risultati e di progetti sul futuro

Corrado Molteni, Mo.1950
Corrado Molteni, Mo.1950

La storia professionale di Corrado Molteni, creatore di Mo.1950, azienda di servizi al contract e di retail, può essere rappresentata dall’ invenzione di una nuova disciplina dell’atletica leggera: la via di mezzo tra il salto in alto e il salto in lungo. Occorre sempre mirare in alto, con ambizione e gusto, perché vedere lungo serve a gestire il presente e programmare il futuro. Dalla falegnameria di famiglia alla coda per entrare nel suo mondo, tutto questo è opera di Molteni, mezzo brianzolo e mezzo romagnolo, due geografie che combinate tra di loro hanno prodotto un pilota che guida un razzo con il motore sempre acceso.

Lo spazio Mo.1950 a Milano in via Molino delle Armi/via della Chiusa – Photo © Ellisse Studio

Dalla produzione alla gestione il passaggio non sembra così semplice.
Arrivo da un’azienda di famiglia che è vissuta in falegnameria. Da piccolo ci giocavo a nascondino, per me vedere nascere i prodotti artigianali è da sempre la normalità. Ce l’ho ancora dentro questo trascorso e l’ho trasmesso ai miei collaboratori.
Il primo grande passo l’ho fatto 15 anni fa, quando con il progetto Cesar Cucine ho praticamente spostato l’azienda dalla Brianza a Milano: qui sono nate le relazioni con gli studi di architettura, con le grandi imprese di costruzione e il settore immobiliare. Questo ha trasformato l’azienda in un soggetto poliedrico che lavora su quattro canali di business (cliente finale, architetti, real estate e gestione dei flagship store) che si intersecano tra di loro e la cui sintesi si concretizza nel risultato finale per il cliente.
Noi accogliamo il cliente, lo prendiamo per mano e lo accompagniamo nel suo progetto di casa.
Il secondo canale è il rapporto con gli studi di architettura, che inizia con le caratteristiche del B2B ma che poi molto spesso si trasforma in un B2C: siamo molto orientati al residenziale, si parte con lo studio di architettura ma poi l’architetto arriva in showroom con il cliente.
La stessa cosa la facciamo con il real estate, segmento a cui non abbiamo di fatto ancora comunicato molto, ma che è un’area molto interessante da sviluppare: i numeri dicono che siamo il secondo soggetto in città (dopo Milano Contract District) a sviluppare questo lavoro e anche qui alla fine il B2B diventa un B2C. I volumi di lavoro cominciano a diventare importanti, nonostante questo riusciamo a conservare un alto livello di customizzazione.

Lo spazio progettazione con la biblioteca dei materiali all’interno di Mo.1950 di via Molino delle Armi – Photo © Lorenzo Pennati

Come è nato il progetto Cesar Cucine?
Con semplicità. Cesar era il nostro più importante fornitore, gli abbiamo proposto di andare a Milano con un flagship store, il luogo dove l’azienda comunicava verso l’esterno tutte le sue novità. Condivisione dei costi, una strategia molto chiara e definita su chi fa cosa e come. Il sistema ha funzionato e siamo andati a proporlo ad altri produttori che fossero complementari al mondo cucina: sistemi, complementi fino ad arrivare al mondo delle finiture. I miei interlocutori erano soddisfatti, il lavoro funzionava, ma mi chiedevano di poter completare l’involucro casa con altri prodotti e così è nato lo spazio a Milano di via Molino delle Armi. A quel punto però avevamo l’urgente necessità di cambiare nome: il nostro veniva troppo spesso confuso con l’altro Molteni, ben più famoso. Era il 2020, in pieno covid, nasce così Mo.1950. Ora abbiamo numerosi progetti per qualificare Mo.1950, alcune collezioni proprietarie e altro di cui parleremo a tempo debito.

Un ambiente del secondo spazio milanese Mo.1950, in via Carducci – Photo @ Alessandro Milani
Scorcio dello spazio Mo.1950 in via Carducci – Photo @ Gionata Xerra Studio

Un tempo bussavi alle porte, ora forse succede il contrario?
Sì, e per numerosi motivi. Il motivo scatenante è legato al sempre più scarso appeal che il Salone del Mobile ha nei confronti dei produttori della fascia medio alta e alta, una nicchia di mercato dove i produttori (tutti!) si fanno da tempo domande sull’opportunità di partecipare o meno al Salone. Molti, per mettersi la coscienza a posto, scelgono di non andare al Salone e di aprire un flagship store a Milano: uno dei primi numeri di telefono che chiamano è il mio. La richiesta è molto alta. Il problema è gestire i no. Non siamo aggressivi, cerchiamo il punto di equilibrio con l’interlocutore, desidero mantenere una certa qualità, non avere partner che si sovrappongono. Non mi interessa crescere e basta, la nostra identità non deve essere intaccata. In questo modo abbiamo più possibilità di intercettare i progetti e poterli riempire con i nostri contenuti.

Lo showroom Cesar Cucine a Milano – Photo © Giuseppe Dinnella

Hai qualche pensiero sull’estero?
Sì, sul tavolo ci sono tante opportunità. In questo momento l’Italia assorbe quasi tutta l’energia, ma non ci dimentichiamo che esistono tanti mondi diversi dal nostro. Appena possiamo prendiamo un aereo a viaggiamo: siamo andati recentemente a Los Angeles e a Dubai, ma lo abbiamo fatto in maniera destrutturata. Adesso voglio scegliere una destinazione, andarci e studiarla. L’estero è una grande opportunità di crescita. I developer internazionali non si sono ancora avvicinati a noi, ne comprendiamo perfettamente il perché, i brand che rappresentiamo non hanno ancora un allure internazionale.

Showroom Caccaro a Milano, realizzato insieme a Mo.1950 – Photo © Giacomo Zonta

Mo.1950 di Molino delle Armi vede insieme brand non abituati a lavorare sinergicamente. Le sinergie sono nate?
Dopo qualche difficoltà iniziale direi di sì. Rexa e Quadro si assomigliano, lavorano sulla stessa fascia di mercato, hanno gli stessi interlocutori, non si conoscevano, dopo due minuti la sintonia tra di loro era già perfetta. La relazione con Caesar Ceramiche è stata per me sfidante, parliamo di un’azienda molto diversa, con dimensioni diverse (Caesar da sola fa oltre 100 milioni di fatturato), non era un’azienda di design, adesso è un partner con cui ho una relazione perfetta. Sono molto organizzati, le ultime collezioni esprimono un aspetto legato a decoro che prima non era nelle loro corde.

Cosa devono avere le aziende che cerchi?
Cerco l’apertura mentale verso la customizzazione, tutti ne parlano, non tutti la conoscono, quando si va nel dettaglio spesso viene ridotta alle modifiche di un’anta di qualche centimetro.
Il vestito sartoriale è, prima di tutto, una linea di pensiero, un modo di ragionare, è una forma mentale. Quando li trovo, li prendo. Poi il cantiere lo gestisco io, desidero arrivare fino in fondo con certezze. Siamo molto strutturati in termini di project management, il nostro ufficio tecnico conosce tempi e metodi alla perfezione. Siamo in 52: non pochi.

Scalo Milano: lo store Fatboy, un altro progetto in partnership di Mo.1950 – Photo © Arianna Carotta

Progetti a breve?
A giugno apriremo una sede a Bologna, i developer me lo chiedono. Bologna, Roma e Torino sono città dove abbiamo lavorato molto, abbiamo deciso di aprire a Bologna.

Un sogno nel cassetto?
Il sogno è portare Mo1950 in superficie, costruirgli un vestito preciso. E trasformarlo in un brand perfettamente riconoscibile.