Sabato 26 marzo si è inaugurata a Roma alla galleria Ex Elettrofonica (fino al 28 maggio) una personale di Agostino Iacurci, artista dalle molte vocazioni (pittore, scultore, scenografo) che ha firmato un po’ in tutto il mondo, negli ultimi anni, murales pieni di colore, nei quali decorazione e architettura si fondono e diventano un linguaggio nuovo.
Il titolo della mostra è Of my abstract gardening, e si ricollega ai fiori e alle piante che Iacurci dissemina un po’ in tutto il suo lavoro. Lo raggiungiamo al telefono mentre sta tornando a Bologna, da una ventina di giorni la sua nuova casa dopo sei anni passati a Berlino.
Ci racconti il tuo lavoro?
Mentre studiavo incisione all’Accademia di Belle Arti di Roma ho iniziato a realizzare grandi murales – era il 2006 – che mi hanno dato immediatamente visibilità internazionale. Ho iniziato a viaggiare molto per creare questi opere, e al tempo stesso portavo avanti una pratica di studio itinerante, cambiando città molte volte, lavorando a pitture e sculture. Mondi che ho messi di recente in comunicazione tra loro in mostre che immagino come degli interventi totali, che comprendono tutte le anime della mia pratica.
Quali sono le tue ispirazioni?
La pittura romana antica, per esempio le decorazioni murali della cosiddetta “villa di Livia” a Roma. La tradizione dell’artigianato pugliese. E poi i viaggi, dal Messico all’India, e l’Italia di Sottsass e Aldo Rossi: ho preso anche da loro l’idea programmatica di attraversare le discipline – scenografia, arte, illustrazione – in libertà. Poi Depero, un altro abituato a essere trasversale; Sol LeWitt con i suoi wall painting, tra pittura e architettura; ma anche nomi contemporanei come Pablo Bronstein o Nicolas Party.
Hai parlato di scenografia: hai mai pensato di dedicarti anche a questo?
La mia attitudine ad abbracciare tutto lo spazio viene anche dal lavoro che ho fatto nel teatro, sia come costruttore sia come scenografo. Di recente ho collaborato con Alfredo Arias, regista argentino, per uno spettacolo al Teatro Argentina di Roma, dove i costumi erano curati dal fashion designer Marco De Vincenzo. Anche la mia mostra da Ex Elettrofonica va in questa direzione: ho costruito nello spazio un ritmo architettonico con sculture in terracotta smaltata su cui sono posate delle piante, che rappresentano l’oggetto delle sculture; e, viceversa, le sculture sembrano uscire dai quadri.
Ti piacerebbe disegnare carte da parati?
Mi è stato proposto ma non ho ancora avuto l’occasione di approfondire. Sono aperto a tutto, si tratta solo di incontrare la persona che mi trasferisca entusiasmo.
Per i progetti in scala XL hai una squadra?
All’inizio facevo tutto da solo, su ponteggi o con braccio elevatore. Negli ultimi anni mi dà una mano un assistente.
Qual è il lavoro più incredibile che hai firmato?
Un murales a Kiev, quasi 40 metri di altezza. E, più di recente, l’allestimento per un evento che Hermès ha organizzato a Milano, al Teatro Franco Parenti, progetto totale in cui abbiamo coinvolto tutti gli spazi del teatro trasformandolo in un grande hotel per una notte. Uno spazio che si è animato di invitati, artisti, attori. Intervento al limite tra operazione artistica, scenografia, festa. Quasi un happening futurista durato una notte.