Ep Yaying, Shanghai
Ep Yaying, Shanghai

Nel tessuto urbanistico di Shanghai, in trasformazione incessante, ogni tanto si incontrano pezzi di storia. Come Hengshanfang, un gruppo di undici case indipendenti con giardino e due file di case più popolari. Un mini-quartiere edificato a cavallo tra gli anni ’30 e i ’40 che oggi, dopo un recupero che ha ridato valore agli edifici, ospita uffici creativi, ristoranti, caffè e boutique.

Una di queste è quella aperta dal brand di moda Ep Yaying (in cinese, “impegno di qualità”), progetto a quattro mani dell’architetto Franklin Azzi insieme a Serge Ruffieux, che di Ep Yaying è il direttore creativo. Insieme hanno reinterpretato elementi culturali e tradizioni costruttive locali attraverso la lente di una modernità sofisticata, arrivando a definire un codice estetico che unisce con raffinatezza Oriente e Occidente.

La boutique si trova in una delle case indipendenti; il giardino al centro dell’edificio è stato reso parte integrante dello spazio ed è così diventato un luogo senza una destinazione definita, un’estensione dello spazio pubblico della città. «Ci siamo consapevolmente allontanati dall’idea tradizionale di boutique, dando al luogo una vera identità», spiega Azzi. 

L’architettura della boutique privilegia la trasparenza, l’apertura verso l’esterno, l’integrazione tra natura e spazio edificato. Uno dei cardini del progetto è l’uso dei materiali, abbinati in modo da valorizzarne al massimo le peculiarità. È stato creato un equilibrio fatto di tante voci: giada e cemento, dalla bellezza grezza, oppure la pavimentazione in pietra del giardino interno; ma anche lacche lucide e ricami. Semplicità e ricchezza decorativa. Abiti e accessori sono esposti su una struttura a griglia di tubi di metallo dorato in cui sono sospese o sostenute lastre di pietre grezze di diverse forme e colori (anche qui, gioco di contrasti).

Dal pavimento al soffitto, passando per i mobili e i camerini concepiti come spazi di transizione ma anche di esposizione in dialogo con gli altri ambienti della boutique, Azzi e Ruffieux hanno progettato un viaggio composto da risonanze estetiche e sensoriali. «Abbiamo giustapposto il massimalista al minimalista», spiega l’architetto. «L’incrocio di questi due mondi crea una visione insolita, una sorta di dualità che caratterizza gli ambienti. Abbiamo anche lavorato contestualmente sulla sequenza spaziale per fare di questa boutique un luogo unico, diverso dagli altri del marchio».

Un progetto che, in larghissima parte, è stato portato avanti a distanza: «Abbiamo potuto completare il progetto da Parigi senza che la nostra visione venisse alterata», conclude Azzi, «Siamo stati sostenuti dalla qualità e dalla rapidità delle squadre cinesi, che hanno eseguito i nostri disegni in loco. Negli ultimi 10 anni la Cina ha intrapreso un processo di recupero delle competenze tradizionali. Questo progetto è la prova di questo processo».

Photo © Matjaz Tančič