Patrick Jouin e Leucos: Aurelia, la nuova luce

La presentazione a Milano di Aurelia, nuova lampada disegnata da Patrick Jouin per Leucos, è stata l'occasione per incontrare il progettista francese e con Abramo Manfrotto, che con la sua Clann ha acquisito quasi tre anni fa l’azienda. Ne è scaturita una conversazione a tre voci

Aurelia by Leucos, design Patrick Jouin
Aurelia by Leucos, design Patrick Jouin

Qual è stato il punto di partenza per questo progetto?
Patrick Jouin – È una storia in due tempi. Il mio primo incontro con Leucos è stato nel 2004, quando col mio studio abbiamo disegnato un lampadario con 39mila bolle in vetro di Murano per il ristorante di Alain Ducasse a Las Vegas. Il Million Dollar Chandelier, come lo chiamo io, che poi diventò Ether, un prodotto a catalogo di grande successo. Poi, con la nuova fase, Manfrotto ci è venuto a trovare: era curioso di sapere chi eravamo, come potevamo lavorare insieme.

C’è stato un brief preciso?
Abramo Manfrotto – In realtà abbiamo parlato solo di valori. Gli ho confessato la mia frustrazione nel vedere che a catalogo c’erano oggetti molto decorativi che però facevano poca luce. Abbiamo parlato anche di sicurezza, di resilienza, di longevità dell’oggetto e dello stile. Il brief è stato tradurre questi concetti in una lampada da soffitto o da parete.

Patrick Jouin, Abramo Manfrotto
Patrick Jouin, Abramo Manfrotto

Come si è sviluppata l’idea?
PJ – La prima cosa a cui devi pensare quando progetti una lampada è la sorgente luminosa. Abbiamo scelto di illuminare il tavolo, cuore della casa, abbinando due sorgenti, diretta e indiretta, che possono essere modulate e miscelate. L’elemento innovativo qui è la fonte di luce indiretta, un anello di LED alloggiato nel corpo della lampada e protetto da un elemento in vetro soffiato, senza texture a parte quella naturale del materiale: perché Leucos è anche cultura del vetro. L’idea era di creare una lampada smontabile, facile da pulire. Abbiamo lavorato per creare un prodotto intelligente ma anche semplice, comprensibile da chiunque.

La pandemia ci ha fatto ripensare come viviamo (e come lavoriamo) in casa. Questo ha cambiato il modo di progettare lampade?
PJ – Certo: quando sei davanti a un computer non hai bisogno di luce diretta. Aurelia ha le stesse funzionalità – e, alla fine, la stessa tecnologia – di una lampada da ufficio, ma le traduce in un modo più sensuale.
AM – Dal nostro punto di vista la pandemia, che è arrivata giusto dopo il nostro primo incontro, ha voluto dire fare tutto da remoto, con i prototipi mostrati via smart phone. Tutto è stato più lungo del normale. La prima volta che Patrick ha visto l’oggetto dal vivo è stato durante il Salone, a settembre: eravamo in un ristorante e ho tirato fuori la lampada da una borsa. Eravamo già in fase di pre-produzione. È stata una sfida.

Qual è la lampada che vorreste disegnare/produrre?
PJ – Ogni designer vorrebbe poter progettare una lampada che che parte da terra e arriva sul tavolo (con la mano mima un arco, citando ovviamente Castiglioni – ndr): è il santo graal di ogni designer. È stata inventata studiando una funzione. Oggi sta cambiando il modo in cui usiamo la nostra casa e potrebbe essere un’opportunità: se studio bene questo nuovo scenario posso creare una nuova luce che lo rispecchi al meglio.
AM – Vorrei riuscire a ingegnerizzare – e se possibile brevettare – una tecnologia che trasporta la luce per poi realizzarla in proprio, in una fabbrica off limits. Tutto il resto invece potrebbe anche essere creato dall’acquirente, in una sorta di co-design. Mi piace l’idea di decorazione come elemento che fai tuo, non qualcosa che qualcun altro pensa per te e tu la devi accettare per come è. Ecco, la mia lampada dei sogni è così.