La storia di Nemo parte da lontano, l’azienda ha nel proprio catalogo firme presenti nei libri di storia: da Le Corbusier a Vico Magistretti, da Charlotte Perriand a Franco Albini. Del 2012 Federico Palazzari è il proprietario e CEO dell’azienda che nel tempo ha assunto un suo carattere distintivo e una personalità molto riconoscibile.
Nemo è un’azienda ambiziosa?
Se diamo alla parola ambizione un taglio qualitativo allora rispondo di sì, siamo ambiziosi e la nostra ambizione è quella di fare una buona luce. La luce di fatto non si vede, ne vedi l’effetto, vedi quello che illumini. Valorizzare con la luce un oggetto o un ambiente è un percorso appassionante e, appunto, molto ambizioso.
Nemo è identificato come un produttore di corpi illuminanti tecnici, leggeri, essenziali e molto legati al mondo del progetto, in primis ai musei. E’ così?
L’approccio museale è un fatto che lega tecnica e cultura, gusto ed estetica: sono molto poche le aziende nel mondo che vengono scelte dai musei per illuminare le sale e le opere, Nemo è una di queste e con la nascita di Nemo Studio (dopo l’acquisizione nel 2020 di Ilti Luce) le nostre competenze in materia sono cresciute, le expertise di Ilti erano davvero importanti.
Dal museo alla casa adesso?
In ogni casa ci sono opere d’arte e per opere d’arte non intendo solo il quadro di valore, ma anche quegli oggetti che appartengono al mondo di chi abita quella casa: una foto, un ritratto, un disegno. Questi oggetti se li vedi meglio diventano più belli, tutto intorno acquista un’intensità estetica e tu stai meglio. Il mondo domestico ha un enorme potenziale sull’illuminazione, la sensibilità su come si illumina un quadro è praticamente nulla, il settore hospitality è un po’ più attento, ma non troppo. E’ possibile e interessante trasferire la nostra visione museale anche al domestico e all’hospitality, con garbo, tecnologia e design alla portata.
Facciamo un esempio?
E’ nata una collezione di corpi illuminanti destinati a valorizzare le opere domestiche senza naturalmente aver bisogno delle infrastrutture che sono abituali nei musei. Siamo agli albori di questo esercizio, ma pensiamo di essere sulla strada giusta, lavoriamo per gli occhi delle persone, cerchiamo di semplificare la vita e a loro consegniamo della sostanza. Plint è la summa di tutte queste caratteristiche: è dimmerabile, è dotato di zoom, ha un’assoluta facilità di utilizzo e di posizionamento, ha un costo molto accessibile. Plint nasce per evocare un’esigenza non sempre palese e non sempre espressa, ma quando Plint è in azione la differenza è clamorosa.
Parliamo del mondo della progettazione e del vostro ruolo.
Il nostro è un mestiere dove dobbiamo fare quasi ogni volta un’opera maieutica sulla luce, il percorso verso la consapevolezza del cliente o del prescrittore è a volte molto lento, ma non ci spaventa, siamo abituati a comunicare anche gli elementi base dell’illuminotecnica.
E’ così ovunque?
No, ci sono popoli – soprattutto quelli del nord Europa – che hanno una storica sensibilità sull’argomento. Il Lighting Designer nasce in ambiente anglosassone, sul fronte del servizio in quell’area geografica sono ancora avanti. La cultura italiana sulla luce è scarsa, all’estero se arredi una casa sopra i 100 mq chiami un lighting designer, è la normalità.
Ci sono progettisti che ti hanno sorpreso per capacità e competenze?
Grande stima per tutti: è un lavoro difficile, non puoi far vedere prima i risultati, non ci sono i render. Sono persone super preparate e appassionate, mi sorprendono sempre. Cito solo un nome, Bruther, coppia di architetti francesi molto concettuali, di cui non si sente parlare tutti i giorni, ma con una grande raffinatezza e un’attitudine naturale verso l’argomento luce. I cicli della fama legata agli architetti tendono ad accorciarsi velocemente, quando penso di contattare un certo nome spesso mi rendo conto che la sua curva creativa e progettuale è in fase discendente e quindi mi rivolgo altrove. Ho qualche difficoltà a confrontarmi con i giovani designer italiani che mediamente si presentano sempre con i render: io i render non li guardo, li trovo una versione cervellotica e artificiale della creatività, voglio vedere un disegno fatto a mano
Questa è Nemo, una strada tracciata dai confini molto segnati, una linea strategica chiara con un raggio d’azione che si vede, perché illuminato correttamente.