Oltre a un ovvio significato legato al ruolo di ADI e del suo Museum, oltre al fatto che l’inaugurazione è stata una della prime occasioni ufficiali della transizione dal Covid alla pseudo normalità per riunire alcune centinaia di persone, oltre tutto questo c’è il senso storico dell’evento e, soprattutto, la sua proiezione futura.

Con un sincero e molto sentito discorso, il Presidente ADI Luciano Galimberti ha dipanato le solide ragioni che sostengono l’ADI Design Museum: la storia declinata al futuro, la valorizzazione (non retorica, nei fatti) del rapporto pubblico-privato, la tecnologia (non estrema, ma alla portata). Non poco in questo progetto che, come Galimberti lo ha definito, “é un museo autogenerativo”: bella espressione che supera il concetto di ricaricabile (funziona, ma è sempre uguale a sé stesso) per atterrare sul terreno della progettazione e della ideazione: l’ADI Museum sarà un laboratorio che legherà il passato al futuro passando, quando possibile, dal presente; un luogo dove il termine “generazionale” perde di significato per lasciare il posto al concetto “il design e la creazione transitano anche dalla fatica”, come ha sottolineato il Presidente della Fondazione ADI Umberto Cabini, chiudendo la porta in faccia alle facili retoriche delle inaugurazioni e chiarendo (qualora ce ne fosse bisogno) che il design non è un piacevole esercizio da salotto.

Il settore beneficerà di questo luogo che, insieme al Museo del Design della Triennale, rappresenta il fiore all’occhiello del “saper progettare” riconosciuto da tutti e a tutte le latitudini.
