BertO: the digital side of Meda

La Berto fa arredi dagli anni 50, ma in questa intervista si parla poco di mobili, si parla tanto di digital. Filippo Berto, seconda generazione della famiglia, è stato un precursore dell’utilizzo della rete e oggi, quando Google decide di investire in Italia, prima lo chiama

Sul vostro sito domina la scritta “Made in Meda”, la Brianza non è tutta uguale?
La Brianza non è tutta uguale, noi stiamo lavorando per far conoscere Meda e il suo distretto a tutto il mondo. Glielo dobbiamo, negli anni 50 mio padre e mio zio hanno ricevuto da questa città la possibilità di creare un’azienda che oggi è quella che vedi.
Meda ha più di 200 anni di storia, da scoprire.

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Parliamo allora di differenze, una di queste è legata al digitale, dove in generale non c’è molta cultura. BertO invece sul digitale ha investito e in tempi non sospetti.
È così, per noi è stata una sfida contro un diffuso modo di pensare e di un settore che non avrebbe speso un centesimo sul digitale. Noi abbiamo capito che la rete ci poteva mettere in contatto con il mondo. Internet ci ha fatto comprendere due cose: la prima è che ti devi esporre, devi raccontare chi sei cosa fai e come, il dietro le quinte deve essere trasparente. La seconda è che devi imparare a parlare con l’utente finale, senza il filtro dei rivenditori e della catena della distribuzione. Noi abbiamo osato, eravamo molto più piccoli di adesso. Internet era considerato dai più non adatto per questo mondo. Internet è una mentalità, sei costantemente obbligato a “subire” gli aggiornamenti che arrivano dal mercato, è un po’ come il cellulare, puoi andare aventi un po’ ma poi l’aggiornamento lo devi fare altrimenti si blocca tutto, rimani indietro e inadeguato. Questa è la irreversibilità di Internet e noi ci siamo dentro.
A (paradossalmente) peggiorare le cose arriva anche la reputazione: impieghi tanto tempo a costruirla (quella buona), ci metti un attimo a distruggerla. Non ce lo possiamo permettere e sarebbe un controsenso, metterebbe in pericolo posti di lavoro e l’impresa tutta. Oggi tutta la BertO è coinvolta negli aggiornamenti, Internet non è una piattaforma univoca, ma si dirama in tutte le aree, dall’accoglienza alla relazione con i clienti, dalla produzione alla gestione del post vendita e via dicendo.

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Nel 1950 i fratelli Berto fondano l’azienda, poi arriva Filippo, cosa succede?
Mio padre (Fioravante) era un visionario, appassionato, leader naturale, ci litigavo tutti i giorni. Terminati gli studi sono andato a lavorare e ho fatto di tutto, ma lontano dalla BertO. Poi nel 1998 ho avuto una specie di folgorazione, mi son detto “ci voglio provare”, sono andato da mio padre e glielo ho detto. A me piaceva fare i divani e andare a consegnare. Lui mi diceva “rimani in ufficio, non ho bisogno di un altro tappezziere, il mondo sta cambiano e ho bisogno di qualcuno che pensa”. Nel 2001 in ufficio c’era il computer ed eravamo agli albori o quasi di Internet, abbiamo fatto il primo sito e ho visto che ci visitavano, già usavamo le keywords, in Usa la searching optimization esisteva già, nel nostro settore siamo stati i primi in Italia nel 2002 a fare campagne adwords.
La gente arrivava e si vendeva, è stato travolgente.

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Parliamo del vostro rapporto con Google?
Google
ha investito molto in Italia negli ultimi anni, si sono accorti che noi eravamo attivi da tanto tempo (il nostro primo blog è del 2004 e il primo video su Youtube – che allora non era ancora di Google – nel 2006), hanno capito che potevamo essere un modello da spendere per gli altri: sono un’azienda normale in un distretto normale, se ce l’hanno fatta loro potete farcela anche voi, questa la sostanza. Per merito anche della rete la BertO cresce, due settimane fa abbiamo assunto 7 persone.

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Come è cambiata per voi la rete con l’arrivo dei social?
Molto, abbiamo dovuto studiare, provare, abbiamo fatto molti errori, eravamo fuori strada. Oggi siamo più maturi, abbiamo un team interno e li gestiamo. Il fatto di avere un blog dal 2004 ci ha aiutato a capire come farsi gli amici in maniera disinteressata. Noi eravamo tra i pochi ad essere corporate blogger, ci conoscevamo tutti e ci parlavamo, oggi nasce un blogger ogni 5 minuti. E’ un settore dove l’aggiornamento è molto veloce, quello che va bene oggi forse domani non è più sufficiente. L’allenamento è fondamentale, il marketing è sottoposto a un lavoro quotidiano duro e intenso.

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Cosa succede nel 2013 a New York?
Avevamo iniziato a capire l’importanza della relazione diretta, abbiamo aperto i laboratori e fatto entrare le persone, le scuole soprattutto per far appassionare i giovani al mestiere. Decidiamo di fare un divano fatto da centinaia di mani per finanziare una scuola di tappezzeria a Managua, prodotto molto bello e di grande successo.
Con il Prof. Stefano Micelli di Cà Foscari e un gruppo da lui coordinato decidiamo di andare in America: siamo andati a cercare dei clienti che stavano arredando il loro loft, pensiamo noi a tutto l’arredo custom ma ti diamo le chiavi dopo un anno e prima ci viviamo noi. E uno di noi con al sua famiglia ci ha vissuto veramente. E in quell’anno abbiamo fatto migliaia di attività live, era un Live Showroom, una bella idea. Insieme a un gruppo di studenti della Parson e di IDO e Luca Nichetto, Lera Moiseeva e Joseph Graceffa lanciammo una sfida: come sarà il divano del futuro? Qualche mese dopo sono tornato e con quella che viene definita la modalità crowed crafting abbiamo realizzato il divano Sofa for Manhattan.

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Come funziona oggi il business di BertO?
L’Italia oggi vale l’80% e l’estero il 20%, stessa proporzione vale per il rapporto tra utente finale e progettista. Abbiamo un ottimo rapporto sia con i progettisti e con gli utenti finali, abbiamo un team tecnico molto preparato, abbiamo la produzione sempre attenta, molti materiali da poter scegliere.
Il progetto è in forte crescita, i mercati tedesco svizzero e cinese ci coinvolgono per dei progetti contract. In Cina siamo arrivati – sempre per “colpa” di mio padre – nel 1998 quando il comune di Meda aveva un Assessorato agli Esteri (!!) organizzò una fiera a Shanghai. Eravamo io e una poltrona rossa, ma ha funzionato, anche perché dovevo far tornare i conti. Mi sono innamorato della Cina, ma eravamo troppo piccoli, oggi siamo più adeguati e lavoriamo molto con loro anche grazie al digitale locale.

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