Organizzazione e progettazione sono il file rouge della storia di Lema, nel 1992 avete inaugurato la sede progettata da Mangiarotti, non tutti all’epoca si affidavano a un grande architetto: cosa ricorda di quel periodo?
La scelta fu una conseguenza del fatto che Mangiarotti aveva progettato nel 1968 questa struttura, noi siamo sempre rimasti in contatto con lui (che nel frattempo avevano disegnato per noi delle linee di prodotto), lo abbiamo richiamato anche con l’obiettivo di cercare di salvare la struttura e fu possibile.
Non volevamo una struttura standard, Mangiarotti era perfetto per le nostre idee.
La parola contract è molto sovraesposta, voi siete partiti nel 2004, come sono stati gli esordi e come si è sviluppata l’area progetto di Lema?
Prima del 2004 noi facevamo già contract, ma un po’ casualmente, avevamo realizzato tutti gli alberghi del gruppo Ligresti due volte. Noi eravamo all’epoca produttori di pannelli, mio padre aveva un contatto con loro, gli hotel erano molto facili e ripetitivi, praticamente una procedura industriale, ma funzionò. Poi ci siamo detti che forse oltre a Ligresti c’era dell’altro, abbiamo creato un primo team, partecipavamo alle gare, ma le perdevamo tutte. Abbiamo capito che avevamo bisogno di qualcuno che fosse in grado di farcele vincere le gare. Era il periodo della prima vendita di B&B, incrociammo Ferdinando Pessina (che comunque conoscevamo già avendo fatto dei lavori per loro come terzisti), lui non si trovava a proprio agio con il fondo Opera e alla fine ci siamo accordati. La struttura di allora partì con 3 persone, oggi ne conta 40. Siamo cresciuti molto e molto in fretta, abbiamo imparato cosa significava fare contract. Oggi il nostro contract è solo custom 100%.
Il contract di Lema rappresenta quindi un valore specifico?
Assolutamente sì, è molto importante per diversi motivi. In primis per il fatturato e conseguente margine che consente di poter fare investimenti, poi è fondamentale perché ci consente di fare sperimentazione. Gli architetti che lavorano nel contract e soprattutto nell’hotellerie hanno numeri certi e con noi possono provare a disegnare cose differenti, usando materiali alternativi, avendo immediatamente un feedback da parte dell’azienda. Questa sperimentazione, nel tempo, ha portato anche idee e soluzioni che abbiamo poi applicato nella progettazione delle nostre collezioni per la casa.
Per esempio? Glielo chiediamo perché spesso il percorso è contrario, molto progettisti tendono a rappresentare l’hotel come se fosse “casa tua”, voi ci pare che avete un processo differente.
Sì, da noi le cose vanno diversamente, quando arriva il designer di solito si parte da zero. Molto difficilmente riusciamo a inserire pezzi di Lema residenziale in un progetto contract, anche con le poltroncine abbiamo delle difficoltà. Capita invece il contrario: per esempio, una poltroncina disegnata da Gordon Guillaumier specificatamente per l’Hilton di Londra è stata poi inserita nella collezione casa, ma con finiture e conseguente prezzo molto differenti. Fare un hotel significa soddisfare numerose richieste: capacità di industrializzare un’idea, prezzo corretto, avere una determinata durabilità, il gradimento della catena, essere compatibile con il sistema delle pulizie che ha un timing rigoroso. Tutte queste cose si pensano in fase di progettazione. Poi occorre avere competenze sempre più alte nella fase del cantiere che, ultimamente e anche negli hotel 5 stelle, sta diventando molto complicata e difficoltosa e dove – se non sei organizzato – ti puoi fare molto male.
Nel 1994 un’allora 38enne Piero Lissoni divenne art director dell’azienda: come era, come siete cambiati?
Noi venivamo dal mondo di Tito Agnoli, colui che ha fatto crescere l’azienda, ma era un mondo che si stava un po’ consumando ed eravamo alla ricerca di qualcuno che facesse cambiare direzione all’azienda e la scelta cadde sull’emergente Piero Lissoni. Lissoni aveva una mentalità industriale e uno stile che a noi piaceva, eravamo convinti che fosse in grado di prendere il pacchetto completo che prevedeva i prodotti, ma anche l’immagine, dove aprire showroom. Il suo arrivo produsse subito dei cambiamenti a partire da una maggiore pulizia delle linee, Piero allora era molto rigoroso, oggi si è ammorbidito.
Erano gli anni del minimalismo, si vendeva solo in Italia e in Europa e oggi in tutto il mondo: l’immagine che Piero ha dato a Lema funziona, è molto trasversale.
Lissoni è stato per noi un timoniere in grado di non farci sbagliare le scelte e soprattutto di farci mai cambiare la rotta presa.
Negli anni Lema ha mantenuto trade e contract, per voi sono evidentemente due mondi lontani, c’è un terzo elemento che li unisce?
Confermo la totale indipendenza tra trade e contract, non ci sono praticamente sinergie, ma esiste un mondo di mezzo, quello dei multi apartment, mercato che ci vede protagonisti in Inghilterra e in Asia.
Soprattutto in Asia esistono punti vendita con grandi specializzazioni, negli showroom ci sono progettisti e developer, seguono il trade, ma la progettazione del multi apartment è il loro focus centrale e noi in quelle aree siamo molto ben posizionati e i nostri prodotti funzionano.
Un sogno nel cassetto?
Progettare un cassetto più grande… che contenga tutti i sogni che abbiamo.