Il ristorante Shababeek apre nell’emirato di Sharja, sul lato orientale della costa arabica, sguainando una delle più fortunate liaison. Quella che unisce i virtuosismi stellati dello chef libanese Maroun Chedid alla committenza regale di Sua Altezza Sheikha Bodour bint Sultan bin Muhammad Al Qasimi. Quella che sconfina nel design integrato che accorpa il rigore progettuale di Pallavi Dean Interiors con la creatività di artisti e artigiani locali. Un esito esteticamente lontano però dagli eccessi che affondano nelle riserve decorative dell’heritage islamico ma pure nell’uso disinvolto di stili storici europei, dal rococò all’Impero, che ciclicamente – e curiosamente – connotano gli spazi del lusso arabico. L’esuberanza di Shababeek sta, formalmente, nella sintesi ultra décor e, concettualmente, nella contaminazione dei codici che insieme prendono parte al suo setting cosmopolita.

Rilevante in questo rendez-vous di confronti, anche culinari, è certamente il Paese di provenienza dello chef, un Libano che pare riversi il suo straordinario meticciato culturale in una composizione narrativa ritmata da giochi di linee, spessori, tratti e da un deciso senso del colore. Con il filtro della contemporaneità i progettisti attingono alla storia architettonica libanese, nota per l’insolito sposalizio di tecniche e materiali propri dell’arte romana e dello stile moresco, così come al gusto Déco più tipicamente europeo importando al Shababeek l’arco a tutto sesto per le finestre, la geometria islamica astratta nelle modanature in gesso bianco, gli specchi, le sedute curvilinee di Gebrüder Thonet Vienna e quelle imbottite di Vitra, i motivi pavimentali della Parigi anni Venti. Queste citazioni trovano compagnia nell’omaggio alla cucina mediterranea, alla flora e alla fauna del Golfo, riprese sia nella palette cromatica ricca di verdi, ottone spazzolato e tonalità neutre, sia nell’uso reiterato di materiali naturali.


Ma anche nel campionario vegetale riprodotto sulla carta da parati che decora una porzione di soffitto con immagini di uccelli, piante e alberi – realizzato dal collettivo artistico The Attic – oppure nei tessuti di divani, poltrone e cuscini, affollati da un fogliame sferzante disegnato da designer locali. La natura bidimensionale prende poi volume nell’albero di ulivo, vero, che riconduce all’ingrediente base della cucina libanese, e nei suoi derivati confezionati sotto il brand dello star-chef Mouron ed esposti sul carretto per rievocare i venditori ambulanti di Beirut. Anche il design europeo che trae ispirazione direttamente da Madre Natura partecipa alla caratterizzazione dei locali: le luci Flamingo di Vibia alludendo a forme astratte di uccelli in volo, quelle della collezione Perch Light di Moooi assicurando su rami dorati altri volatili nelle loro postazioni in altitudine.

