Ha sempre avuto un carattere fortemente identitario 28 posti: rigoroso sul numero dei commensali, aperto a progetti sociali. I proprietari di questo bistrot nel cuore dei Navigli milanesi, Silvia Orazi e Gaetano Berni, lo hanno pensato fin da subito razionalizzando lo spazio e coinvolgendo i detenuti dell’Istituto Penitenziario di Bollate, che, potendo beneficiare dell’Art. 21, hanno preso parte sia al cantiere che al lavoro di cucina accanto allo chef Marco Ambrosino. Orazi e Berni, avvezzi ai progetti sociali, sono tra i fondatori della ONG Liveinslums che opera nelle aree urbane più povere di Nairobi, la stessa che, a suo tempo, ha avviato all’interno del carcere un laboratorio di falegnameria dove sono stati realizzati tavoli, porte e armadiature del ristorante.

Ristorante 28 posti, Milano
Ristorante 28 posti, Milano

Ora che, a distanza di 6 anni, la collaborazione con il penitenziario vive una pausa, 28 posti cambia faccia – non cuore – con un nuovo intervento di progettazione degli interni sotto la direzione artistica di Cristina Celestino. Fondamentale mantenere i tratti stilistici legati ai concetti di autenticità, materia, semplicità, origine. Di più, rispettare un’identità consolidata attraverso una progettazione in continuità con l’immaginario che i milanesi associano al locale.

Ristorante 28 posti, Milano
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“Abbiamo iniziato con Silvia e Gaetano un dialogo pensando alla possibilità di realizzare un set up per la tavola – racconta Cristina Celestino -. Col tempo, però, ha preso forma un progetto molto più ampio, partito dal loro interesse per il mio lavoro con la Fornace Brioni, azienda di cui seguo la direzione creativa, e dal desiderio di rinnovare gli interni. La richiesta, sin dall’inizio, è stata di renderli ancora più accoglienti, mantenendo quell’atmosfera conviviale e rilassata che li contraddistingue da sempre. Ma anche creare un parallelo tra lo spazio e la cucina del suo chef Marco Ambrosino, anima indiscussa del locale perché parte integrante di quell’identità così tanto legata alla purezza delle materie prime”. Una coerenza con l’etica delle cose, insomma, dal cibo all’arredo.

Ristorante 28 posti, Milano
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Molti degli oggetti utilizzati in sala e in cucina sono autoproduzioni provenienti dalla baraccopoli di Mathare e dal laboratorio del ferro di Jua Kali (Nairobi), parte della mostra Made in slum  Triennale di Milano 2013. Matericità, dunque, insieme a texture e colore – spesso tono su tono – sono gli elementi da cui è partita Cristina Celestino. Il legno in diverse finiture (compreso quello delle travi a soffitto) la terracotta di Fornace Brioni, il ferro naturale cerato a cui abbinare l’azzurro de-saturato e il vinaccia terroso, oltre al bianco gesso delle pareti longitudinali, connotano l’ambiente.

Ristorante 28 posti, Milano
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Rimane protagonista il setto in mattoni originali al centro del locale, a cui fanno da corollario gli intonaci a base di terra naturale per il muro che separa la cucina e quello in terra cruda di Matteo Brioni che arriva al soffitto. Proprio sotto l’arco si posiziona un mobile contenitore con mensole in legno sostenute da una gabbia in tubolare di metallo: un volume arrotondato alle estremità, racchiuso da 2 lamiere curvate, che gioca sul fronte con un rivestimento in micro-mosaico di terracotta. Un leitmotiv che si ripete sulle pareti in appoggio alla panca imbottita, un tessuto bouclet dello storico lanificio bergamasco Torri Lana, rivestite da una boiserie in cotto della collezione Gonzaga di Fornace Brioni.

Infine, le lampade a sospensione firmate Arturo Alvarez appaiono leggere come la carta, pronte a muoversi con un soffio, mentre a distanza ravvicinata si rivelano essere in lamiera microforata. Tutti gli arredi sono disegnati su misura.