L’architetto tedesco Ole Scheeren ha lasciato di stucco la Cina con il progetto della sede della China Central Television, popolarmente ribattezzato “il “grande pantalone” per la sua forma unica. Dall’imponente MahaNakhon a Bangkok fino all’Interlace a Singapore o l’Empire City in Vietnam, i suoi lavori mettono da sempre in discussione il concetto di grattacielo, sottolineando l’interazione tra questi svettanti edifici e le persone. “Nel mio lavoro, la forma si basa sulla… finzione”, afferma l’architetto teutonico. Nato a Karlsruhe, Scheeren dimostra uno spiccato talento per questa disciplina già da adolescente. Ispirato dall’opera di Rem Koolhaas, decide di frequentare l’Office for Metropolitan Architecture (OMA) di Rotterdam. Quando permette allo studio di vincere un concorso di design partecipando al progetto, gli viene data l’opportunità di rimanere. Nello stesso periodo, frequenta la London Architectural Association e riceve la prestigiosa RIBA Silver Medal per la brillante carriera scolastica. Di ritorno a Koolhaas, partecipa al progetto per i flagship store di Prada a New York e Los Angeles e sette anni dopo diventa socio dell’OMA. Nel 2010 apre il suo studio, Büro Ole Scheeren.

“Immagino l’architettura come una matrice di narrazioni ibride, dalle quali partire per costruire le realtà del futuro.”

Ole Scheeren

DUO by Büro Ole Scheeren – Photo © Iwan Baan

Che cosa intende per “la forma si basa sulla finzione”?
Quando progetto un edificio, penso alle vicende che potrebbero svolgersi al suo interno, o nei dintorni. Mi interrogo sul ruolo che avrà nella storia di una città e sul ricordo che lascerà impresso. Le persone vivono e lavorano negli edifici. Ma come si articola la loro interazione? Per raggiungere l’eccellenza, l’architettura deve raccontare una storia.

Come spiega le controversie sul suo lavoro?
Non credo esista un modello di architettura predefinito. Nessun grattacielo è uguale all’altro e requisiti diversi implicano domande diverse. Mi interessa capire come abbattere l’inerzia di questi immensi palazzi per rivelare la presenza di vita umana che custodiscono al loro interno, che è lo specchio di uno stile di vita urbano estremamente denso. Spero che i miei grattacieli raccontino queste storie e sono orgoglioso delle persone che li abitano.

Che cosa l’ha portata a diventare architetto?
Mio padre lo era. Sono praticamente cresciuto in una scuola di architettura ed è stato proprio allora che ho iniziato a comprendere che la nozione di spazio è una componente significativa delle nostre vite. Mio padre mi ha insegnato molto, anche se la cosa più importante che ho imparato da lui è che dovevo trovare la mia strada. E mi ha lasciato libero di cercarla.

DUO by Büro Ole Scheeren
Photo © Iwan Baan

MahaNakhon by Büro Ole Scheeren
Photo © Alexander Roan

Come traduce queste “finzioni” in realtà?
Tradurre le idee in realtà è il fulcro del mio lavoro, perché se voglio che inneschino un cambiamento concreto devono vedere la luce. Per la sede di CCTV, ho chiesto al mio team di fare attenzione al cambio radicale di scala, perché quella struttura era di gran lunga la più grande che avessero mai cercato di progettare. Li ho persino obbligati a tagliare 10.000 bastoncini e incollarli sul plastico per rappresentare tutti i dipendenti che avrebbero lavorato al suo interno. Alla fine però lo sforzo fisco e il tempo necessario per portarlo a termine ci hanno permesso di cogliere davvero la differenza tra 100 e 10.000 persone.

A proposito dell’ultimo progetto in Cina, il Guardian Art Center, quali sono state le sfide?
Il Guardian Art Center è un ibrido tra casa d’aste e istituzione culturale comprensiva di museo, gallerie, strutture di conservazione, ristoranti e un hotel. È proprio dietro l’angolo della Città Proibita, un punto particolarmente delicato e nevralgico. Negli ultimi 15 anni, prima di aggiudicarci il progetto, sono state presentate oltre 30 proposte architettoniche, ma la Commissione per la pianificazione e la conservazione di Pechino le ha bollate tutte come inappropriate. Per noi l’unico problema era cercare di capire come conciliare un’opera contemporanea con un contesto di così alto valore storico, facendo in modo che passato e futuro si fondessero e coesistessero in una struttura che li rappresenta entrambi. Nel 2012 il nostro progetto è stato finalmente approvato. I volumi “pixellati” della parte inferiore ricordano vagamente il tessuto urbano tradizionale adiacente e richiamano la materialità, i colori e le complesse proporzioni delle abitazioni Hutong pechinesi, ispirandosi all’ambiente circostante e “stratificando” nella base i sedimenti della storia. La parte superiore dell’edificio invece si adatta alla grandiosità della città contemporanea grazie a una sorta di “anello” fluttuante che crea un cortile interno e ricorda ancora una volta i classici cortili della case di Pechino. Coniugando la dimensione intima a quella solenne e creando una successione di spazi eterogenei dentro le mura, l’intera struttura integra sia il particolare humus storico e culturale in cui è immersa, sia la forza e la presenza scenica di Pechino attraverso una monumentalità volutamente sommessa.

1500 West Georgia by Büro Ole Scheeren

Lei ha viaggiato in tutto il mondo. Che differenze ci sono tra Asia e Europa?
In Asia dobbiamo creare qualcosa di nuovo per rispondere alle esigenze di urbanizzazione e modernizzazione su una scala amplificata e a ritmi impressionanti. In Europa ci sono abbastanza architetture nuove, perciò la questione è più che altro decidere come approcciarsi agli edifici già esistenti. Il mio primo progetto in Europa è stato la Riverpark Tower a Francoforte. E a breve inizierò un progetto a Vancouver. Ci fa piacere lavorare in varie parti del mondo. Ho vissuto sia in Europa che in Asia e in America e ho imparato tanto dalle popolazioni locali. È importante risiedere nel Paese dove si svilupperà il progetto, perché prima di iniziare a costruire bisogna sapere come vivono le persone.

The Interlace by OMA – Ole Scheeren – Photo © Iwan Baan

Qual è il concept dietro i suoi progetti?
È un dato di fatto che gli agglomerati urbani e le aree antropizzate in generale sono sovvenzionate soprattutto da capitali privati e pensate appositamente per essere parte di un sistema di transazioni commerciali, senza un vero senso di responsabilità nei confronti del pubblico o della città stessa. Ecco perché abbiamo bisogno di trovare, anche nei progetti finanziati da privati, nuove soluzioni per dare la giusta dignità agli spazi pubblici. In tutti i miei progetti mi impegno a sviluppare sistemi di valori in grado di dimostrare che il risultato economico si può raggiungere anche aprendosi con generosità all’ambito pubblico. La mia struttura non è mai isolata, ma collegata a ciò che la circonda. Il piano terra di DUO, ad esempio, è accessibile a tutti 24 ore su 24, 7 giorni su 7, così come le piazze e i giardini nelle vicinanze, per non dare l’idea di una comunità chiusa o uno spazio privatizzato. Abbiamo pensato che così la relazione simbiotica tra le due torri avrebbe avuto un impatto ancora più positivo sul contesto generale. Il messaggio politico coincide quasi con quello urbanistico, perché ho ideato l’edificio con lo scopo di riqualificare un quartiere dimenticato e isolato della città e trasformarlo in un nuovo nucleo civico.

CCTV by OMA – Rem Koolhaas & Ole Scheeren – Photo © Iwan Baan

Che cosa mi dice degli sviluppi futuri?
Continuerò a indagare su momenti estremi per densità e mole. Molte delle tipologie basilari di edificio che abbiamo conosciuto in passato sono destinate inevitabilmente a cambiare, di pari passo con le esigenze del futuro. E la mia produzione continuerà ad attingere alla forza delle storie. Per me i progetti sono uno strumento di design speculativo, un mezzo per immaginare la libertà che posso portare nella vita di chi usa l’edificio. La forma si baserà sempre sulla finzione.

Guardian Art Center by Büro Ole Scheeren