Alex Michaelis, parigino di nascita, dopo un viaggio in Italia decide di dedicarsi al costruire e si iscrive prima alla London Architectural Association e in seguito all’Oxford Polytechnic, per poi collaborare con diversi studi di architettura. Tim Boyd a 18 anni ha lavorato come apprendista per l’architetto cinese Kenneth Ko il quale ha rafforzato la sua passione per il design e la forma strutturata, per dedicarsi poi allo studio dell’architettura presso il Royal College of Art a Londra. I percorsi professionali di Alex e Tim si incrociano quando entrambi lavorano per John Miller and Partners, e nel 1995 fondano Michaelis Boyd iniziando con i progetti per il Moro restaurant di Exmouth Market e per il bar della Soho House Greek Street, the first of many members clubs for the Soho House Group. L’uno appassionato di nuove strutture, l’altro affascinato dalle architetture storiche, insieme sviluppano negli oltre 20 anni di sodalizio professionale – con un portfolio di realizzazioni in 4 continenti –un approccio progettuale ispirato a una concezione onnicomprensiva di sostenibilità, legata tanto alla riduzione del consumo di risorse naturali, quanto soprattutto al rispetto per luogo, contesto, patrimonio storico, identità culturale – sia che si tratti di un resort nella savana africana, un ‘listed’ building di Londra o un edificio di nuova costruzione. L’obiettivo condiviso è quello di dare il meglio ai propri committenti e di realizzare architetture o interni che siano “the best version of themselves”, cercando sempre di privilegiare “flow, light, space and simple design solutions”. Una semplicità solo apparentemente semplice. Una semplicità tutt’altro che facile.

11 Hoyt by Michaelis Boyd

I vostri progetti sono tutti diversi uno dall’altro. La reinterpretazione del contesto e la varietà sono le idee alla base del vostro lavoro?
Tim: Decisamente sì. Quando intraprendiamo un progetto, dedichiamo parecchio tempo a parlare con i clienti per capire le loro idee e studiare il sito. La location e il contesto giocano un ruolo fondamentale nel nostro lavoro, perché il paesaggio in cui si inserisce il progetto e la sua storia possono avere un impatto enorme sul concept.
Alex: Ad esempio, per noi era fondamentale che la Arijiju House in Kenya si calasse nel paesaggio naturale, senza eclissarlo. Posizionato su un pendio a sud, l’edificio non solo gode di un panorama mozzafiato sul monte Kenya, ma rimane anche nascosto alla vista, a meno che non si sappia esattamente dove guardare: il rifugio perfetto!

E anche un design rispettoso dell’ambiente, si direbbe. Anche questo rientra nel DNA del vostro studio?
Alex: La sostenibilità è un principio chiave nella filosofia del nostro studio, una mentalità che adotto in tutti i progetti, persino le abitazioni che ho pensato per me. Uno dei nostri primi progetti, con il quale ci siamo fatti un nome, proponeva l’installazione di una serie di turbine eoliche sul tetto della residenza londinese dell’ex premier David Cameron. Ammesso che forse quello non era proprio il punto giusto per montare delle turbine eoliche, di sicuro abbiamo acceso i riflettori sulla necessità che tutti gli architetti e i proprietari immobiliari compiano scelte più eco-sostenibili per le loro abitazioni.
Tim: Nei nostri progetti cerchiamo di attingere il più possibile ai materiali locali e di escogitare nuove soluzioni per avvalerci delle risorse naturali del posto. Ad esempio, non perdiamo mai occasione per sfruttare il sole, l’energia solare e l’energia eolica. Quando abbiamo lavorato in Nepal, a fianco del Gurkha Welfare Trust, abbiamo volto il clima a nostro favore per ridurre il fabbisogno energetico dell’edificio, abbattendo i costi sul lungo termine e l’impatto sull’ambiente. Per farlo, abbiamo introdotto un sistema di isolamento e di intercapedini che permette alle pareti di trattenere il calore in inverno. Abbiamo anche aggiunto pannelli solari e lampadine a LED a risparmio energetico per limitare il consumo dei generatori elettrici.

11 Hoyt by Michaelis Boyd

Arijiju by Michaelis Boyd – Photo © Dook Photography

Come fate a migliorare il dialogo tra design, luogo e contesto storico-culturale? E il rapporto tra lo spazio e le persone che lo useranno?
Tim: Uno dei rami della nostra attività che preferisco è la ristrutturazione delle country house inglesi, che rispecchia il mio interesse per l’architettura d’epoca. Intervenire sui monumenti classificati è sempre impegnativo, perché bisogna al tempo stesso rispettarne la storia e aggiornare gli interni per renderli compatibili con lo stile di vita moderno. Al termine del progetto mi sento pienamente realizzato, perché sento di aver fatto la mia parte per traghettare l’edificio nella storia.

Arijiju by Michaelis Boyd – Photo © Dook Photography

Il vostro lavoro spesso è associato al concetto di “semplicità nel design”. Come definireste questa idea di semplicità?
Alex: I nostri clienti chiedono da sempre un bel design: flow, luce, spazio e soluzioni semplici. Per noi la semplicità spazia dalla scelta delle finiture – una volta i clienti preferivano le finiture artificiali, adesso invece stiamo assistendo a un boom delle finiture naturali, più soggette all’usura con il passare del tempo – all’idea che la casa sia considerata sempre di più un rifugio dalla frenesia imperante del mondo esterno.

E la vostra idea di lusso? Com’è cambiata negli ultimi 20 anni?
Alex: In passato il lusso era sinonimo di opulenza, stravaganza, esclusività. Oggi invece la nostra cultura considera datate le forme canoniche del lusso e storce il naso di fronte all’ostentazione della ricchezza. Nel 2019, il lusso è più una questione di esperienza e possibilità. Ce ne siamo resi conto in particolare progettando hotel: gli ospiti delle strutture alberghiere hanno sviluppato una maggiore consapevolezza ecologica e si informano sui processi etici e ambientali che sottendono la creazione di un hotel e l’arredamento delle camere.

Clubhouse by Michaelis Boyd – Photo © Ed Reeve

Clubhouse by Michaelis Boyd – Photo © Ed Reeve

A proposito di cambiamento: come si è evoluta Londra da quando avete iniziato la vostra attività? Come vedete la città oggi e nel prossimo futuro?
Tim: Il paesaggio londinese è cambiato radicalmente nei nostri oltre 20 anni di collaborazione. Soprattutto a Notting Hill, abbiamo riscontrato un aumento vertiginoso di seminterrati e doppi seminterrati, che non hanno niente a che fare con le modeste ristrutturazioni e gli ampliamenti che andavano di moda negli anni Novanta.
Alex: Oltre alle strutture sotto il livello stradale, anche i grandi palazzi residenziali di lusso sono sempre più richiesti. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare a due di questi sviluppi: la Battersea Power Station e gli Hexagon Apartments a Holborn, entrambi in via di completamento. La domanda di appartamenti di lusso è sintomo della nuova cultura del vivere a Londra, e sono molto curioso di vedere quale percorso di crescita intraprenderà la nostra capitale per raccogliere le sfide comportate dal suo essere città metropolitana.

Hotel Indigo by Michaelis Boyd – Photo © Ed Reeve

Hotel Indigo by Michaelis Boyd – Photo © Ed Reeve

Avete lavorato anche a commissioni in Asia e Africa. I Paesi africani offrono opportunità nuove e più varie?
Alex: Abbiamo avuto l’incredibile privilegio di lavorare a diversi progetti in Africa, come il Sandibe Safari Lodge in Botswana, la Arijiju House in Kenya e il Benguerra Lodge in Mozambico. Lì il paesaggio è una fonte d’ispirazione inesauribile e possiamo dare libero sfogo alla creatività. Per il progetto Sandibe abbiamo preso spunto dal pangolino e abbiamo collaborato con costruttori straordinari per dare vita a un edificio unico, in grado di valorizzare i materiali locali. È un modello di ingegno e libertà creativa.

Raccontateci il progetto più impegnativo…
Alex: Cerchiamo di costruire un rapporto con i nostri clienti per assecondare, e a volte anche mettere in discussione, la loro visione. Superiamo i limiti per ottenere risultati degni di nota. Quando i designer vengono stimolati all’estremo, la creatività trova terreno fertile.

…e il progetto che vorreste realizzare in futuro.
Tim: Ci piacerebbe interagire di più con le organizzazioni di beneficenza. In Nepal abbiamo costruito tre case di riposo per gli ex Gurkha in collaborazione con il Gurkha Welfare Trust. Lavorare in Nepal è stato istruttivo: ci ha aiutati a riscoprire ciò che conta davvero e i controsensi per cui i progetti di fascia alta sono ben noti.

Come avete iniziato a lavorare insieme?
Tim: Ho conosciuto Alex mentre lavoravo per un mio ex professore, John Miller. Abbiamo collaborato a un progetto residenziale, poi le nostre strade si sono divise per incrociarsi di nuovo sei anni dopo, quando abbiamo fuso i nostri piccoli studi e ci siamo dedicati a Babington House. Il resto, come si dice, è storia!
Alex: Siamo estremamente orgogliosi degli ultimi vent’anni, dai nostri umili esordi nel mio appartamento fino agli oltre 40 collaboratori che abbiamo oggi. È stato un viaggio fantastico e speriamo che non finisca mai!

RYSE by Michaelis Boyd – Photo © Yongkwan Kim

Come gestite il processo di progettazione?
Tim: Ogni progetto nasce da un attento esame della location e un occhio di riguardo per l’ambiente. In fase di avvio entrambi diamo la massima disponibilità, e io in particolare sono ossessionato dai minimi dettagli. Non dimentichiamo mai che il nostro dovere nei confronti dei clienti e dell’edificio stesso è realizzarne la miglior versione possibile.
Alex: Sono molto coinvolto nel processo di progettazione. Uno dei momenti preferiti del mio lavoro è ispezionare il sito, respirare l’atmosfera e lasciarmi ispirare dal contesto e dalle indicazioni del cliente. Porto sempre con me un bloc-notes e una penna per appuntare idee e riflessioni da portare in ufficio.

RYSE by Michaelis Boyd – Photo © Yongkwan Kim

Quali progetti avete in corso o in dirittura d’arrivo?
Tim: Stiamo per completare 11 Hoyt a Brooklyn, il nostro primo progetto residenziale degli Stati Uniti in collaborazione con Tishman Speyer, Studio Gang e Hollander Design. Abbiamo disegnato gli interni di tutti gli appartamenti residenziali e degli spazi ricreativi. Adoriamo lavorare in America – ora abbiamo anche un ufficio a New York – e non vediamo l’ora di far partire altri progetti oltreoceano.