Patrick Jouin, da un piatto per Alain Ducasse alle stazioni ferroviarie di Parigi

Dal piatto alla stazione ferroviaria il passaggio sembra lungo e avventuroso.
Ho studiato all’ENSCi Les Atelier di Parigi come product designer, però il progetto per la mia tesi era una stazione ferroviaria perché volevo lavorare sul concetto di attesa, sul comportamento delle persone quando aspettano, mi interessava già il rapporto fra le persone e le cose nello spazio. Per me non esistono confini nella pratica del progettare, esistono diverse competenze ma il punto di partenza è sempre l’uomo, e lo scopo principale è dare soluzioni che valgano per tutti, ed emozioni. E passando da una scala all’altra, uso l’interior design come strumento per creare emozioni. Sapevo che volevo fare architettura, ho cominciato da zero disegnando un atelier per mio padre, poi ho avuto la fortuna di incontrare Alain Ducasse, un vero e proprio meteorite nella mia vita, che mi chiese di disegnare prima un piatto, poi la boulangerie, e poi i ristoranti.

Patrick Jouin © Benoit Linero
Patrick Jouin © Benoit Linero

L’altro incontro importante è stato con Sanjit Manku qualche anno dopo.
È stato un altro meteorite. A volte arrivano vicini e bisogna usare un po’ di gravità per attrarli e cambiare il loro corso. Sanjit cercava un posto per dormire a Parigi, io cercavo un architetto. Mi mostrò i suoi disegni e da allora lavoriamo insieme in uno studio che adesso conta 50 persone fra architetti, interior e product designer. Di un progetto disegniamo tutto, è il nostro modo di controllare l’insieme, lo spazio e gli oggetti nello spazio, e di ottenere certe emozioni nelle persone. Siamo molti simili nel modo di pensare, cerchiamo sempre nuove soluzioni, vogliamo sempre superare i limiti e forse siamo affetti da un problema di ego, da un pizzico di follia, nel voler di controllare ogni cosa come fosse una partitura musicale, ma abbiamo sempre lavorato così.

Tavolo Elliot, Patrick Jouin iD per Pedrali © Pedrali
Tavoli Elliot, Patrick Jouin iD per Pedrali © Pedrali

Come ‘progettate’ la dimensione emotiva che è evidente nei vostri progetti?
Partiamo ad esempio dalla funzionalità pura, sia un ristorante o una stazione ferroviaria, prendiamo in considerazione aspetti diversi nello stesso momento, come si muovono le persone, perché in fondo siamo animali nello spazio, come possiamo guidarle nello spazio. Cerchiamo però di superare le costrizioni dello spazio legate alle necessarie funzioni immaginando di ‘riempire’ una foto con il movimento di corpi e di luce, la memoria, le atmosfere, è molto simile al processo creativo di una installazione artistica o di un film. Questo livello emotivo ci aiuta a usare l’energia dei luoghi, delle persone, dell’invenzione. Soprattutto i luoghi antichi in cui spesso lavoriamo sono carichi di energia, che recepiamo e rispettiamo ma che cerchiamo di sfruttare per migliorare gli spazi.

Empreinte, pannelli scolpiti, Patrick Jouin iD per Marotte © Patrick Jouin iD
Empreinte, pannelli scolpiti, Patrick Jouin iD per Marotte © Patrick Jouin iD

Anche il lavoro per una firma del lusso come Van Cleef & Arpels riesce a cogliere l’anima del luogo pur rispettando il DNA di un marchio di grande ‘caratura’?
Nelle ‘maison’ realizzate a Parigi, New York, Hong Kong, Tokyo, Miami abbiamo cercato di valorizzare il marchio proponendo ogni volta la diversità e cercando ispirazione nel genius loci. Se le linee e le forme degli arredi sono riconoscibili, cambiano però i materiali, le lavorazioni o le tecniche di produzione artigianale utilizzate. Volevamo in questo modo creare una connessione con i valori del marchio, le cui creazioni sono influenzate dalle culture di tutto il mondo.

Nave da crociera Celebrity Edge. The Grand Plaza by Jouin Manku studio © Eric Laignel
Nave da crociera Celebrity Edge. The Grand Plaza by Jouin Manku studio © Eric Laignel

Per i due studi di progettazione, Patrick JouinID e Jouin Manku, la missione è la stessa. Cosa è rimasto uguale e cosa è cambiato negli anni?
La missione iniziale era molto ‘infantile’, l’intenzione era di migliorare il mondo. Ora siamo diventati professionisti con molta più esperienza, il lavoro di progettazione è decisamente più complesso, e la sfida resta quella di diventare sempre più efficienti mantenendo l’iniziale approccio ‘infantile’ e la stessa passione. E in effetti non siamo mai soddisfatti di quello che realizziamo, cerchiamo continuamente di fare meglio ed è utile per questo essere in due, così possiamo criticarci e migliorarci a vicenda passando da una ‘ossessione’ all’altra, da un limite a quello successivo. Nel mondo della progettazione c’è molta competizione e più in generale il mondo cambia continuamente, dobbiamo adattarci al cambiamento con idee sempre nuove.

I cambiamenti più evidenti che ha visto in questi ultimi anni?
Oltre ad riscontrare una pervasiva estetizzazione del mondo, in cui siamo tutti ossessionati dall’idea di bellezza, penso anche che il modernismo sia definitivamente passato, l’ornamento è tornato con prepotenza, e i progettisti adesso devono lavorare come dj, creare mix fra forme, colori, materiali, suggestioni, come in un cadavre exquis, un collage surrealista. Però il cambiamento più radicale insito nella natura stessa del progettare è la sostenibilità. All’inizio era un limite o un ostacolo alla creatività, oggi è invece diventato fonte di innovazione e di invenzione, oltre che un obiettivo di fondamentale importanza.

Hôtel des Berges & Spa des Saules, architettura e interior design by Jouin Manku studio © Nicolas Mathéus
Hôtel des Berges & Spa des Saules, architettura e interior design by Jouin Manku studio © Nicolas Mathéus

Su quale nuova ossessione sta lavorando adesso?
Le tecniche di produzione artigianali e la lavorazione dei materiali restano sempre la mia vera fonte di ossessione, anche se ultimamente ci stiamo dedicando al tema della cura. E poi finalmente sto realizzando una stazione ferroviaria, la Gare de Montparnasse a Parigi.